
Il terremoto è un evento che scuote non soltanto la terra, ma anche la percezione di sicurezza delle comunità coinvolte. Quando la terra trema, tutto si ferma per un attimo: il rumore, il tempo, persino il respiro. I fenomeni sismici, purtroppo comuni in diverse zone del mondo, si presentano spesso in modo improvviso, lasciando dietro di sé una scia di preoccupazione, anche quando non causano vittime o danni visibili. La fragilità delle strutture, la memoria di eventi tragici, il timore delle scosse di assestamento rendono ogni sisma un campanello d’allarme per chi vive in aree a rischio.
È in questi momenti che tornano alla mente i precedenti, le mappe del rischio aggiornate, le lacune nelle norme edilizie o nel sistema di allerta. Anche un sisma di magnitudo moderata, se avvertito chiaramente dalla popolazione, può generare tensione e alimentare interrogativi sulle misure di prevenzione, sulla capacità di risposta delle autorità, e sull’effettiva prontezza delle infrastrutture locali. La storia insegna che la differenza tra un evento sismico registrato e uno disastroso spesso risiede in quanto si è fatto — o non si è fatto — prima che la terra cominciasse a tremare.

Secondo quanto riferito dal Centro Nazionale di Sismologia (NCS), una scossa di magnitudo 5,4 ha colpito l’Indonesia, con epicentro localizzato a sud-est di Kotamobagu, nella regione settentrionale dell’isola di Sulawesi. La scossa è stata registrata nella giornata di domenica, con una profondità tale da renderla percepibile in un’area ampia, senza tuttavia, almeno per il momento, provocare danni gravi a persone o edifici.
Le autorità indonesiane non hanno emesso alcun allarme tsunami, ma hanno invitato la popolazione alla prudenza, in particolare nelle aree montuose o soggette a smottamenti. Squadre di monitoraggio sono state attivate per raccogliere segnalazioni dai villaggi più isolati e verificare l’eventuale presenza di criticità, in un contesto geografico dove l’accesso ai centri più lontani può richiedere ore o giorni.
L’Indonesia si trova lungo l’Anello di Fuoco del Pacifico, una delle zone sismicamente più attive del pianeta. È lo stesso arco di faglie che ha causato i devastanti terremoti del 2004 e del 2018, eventi impressi nella memoria collettiva per il loro bilancio tragico. Il rischio sismico è una costante per il Paese: ogni anno si registrano centinaia di eventi, molti dei quali impercettibili, altri invece più forti e in grado di provocare vittime.
Tra i precedenti più gravi, impossibile non ricordare il terremoto del 28 settembre 2018 a Palu, sempre a Sulawesi, con una magnitudo di 7,5, che causò oltre 4.000 vittime tra il sisma e il conseguente tsunami. Allora fu proprio la sottovalutazione delle scosse preliminari a ritardare l’allerta, e i minuti persi si rivelarono fatali. Eventi come questo hanno spinto il governo indonesiano a rafforzare il sistema di allarme precoce, ma in molte zone rurali rimane difficile garantire una risposta efficace e tempestiva.
Secondo gli esperti, anche una scossa come quella odierna può rappresentare un rischio secondario per le infrastrutture più deboli, specialmente se seguita da repliche. Le scuole, gli ospedali e gli edifici governativi in alcune aree non rispettano ancora gli standard antisismici introdotti negli ultimi anni, e questo rende vulnerabili anche le comunità che non sono immediatamente vicine all’epicentro.
Nel frattempo, le autorità continuano a monitorare l’evolversi della situazione. Le immagini diffuse dalle emittenti locali mostrano persone radunate all’aperto, in attesa di nuove comunicazioni. La paura non è ancora passata, perché in zone come questa, quando la terra si muove, non lo fa quasi mai una sola volta.