
È morto Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, primo pontefice gesuita della storia, primo a scegliere il nome del Poverello d’Assisi e primo sudamericano a sedere sul trono di Pietro. Con la sua scomparsa si apre ufficialmente la fase di «sede vacante», scandita da riti antichissimi, protocolli solenni e per la prima volta da una serie di modifiche volute dallo stesso Francesco, che ha voluto semplificare il proprio addio alla terra. Un congedo dal mondo che sa di rivoluzione, come molte delle scelte che hanno segnato il suo pontificato.
A constatare ufficialmente la morte del Papa è il Camerlengo, il cardinale incaricato di amministrare la Santa Sede durante la «sede vacante» e di avviare il meccanismo che porterà al Conclave. Non bastano i bollettini medici, non è sufficiente l’annuncio: c’è tutto un rituale da seguire. L’antica tradizione vuole che il Camerlengo (oggi il cardinale Kevin Joseph Farrell) si rechi al capezzale di Bergoglio, lo chiami per tre volte con il suo nome di battesimo, battendogli la fronte con un piccolo martelletto d’argento. In assenza di risposta, il Camerlengo pronuncia la frase in latino: Vere Papa mortuus est, ossia «Il Papa è veramente morto». Questo cerimoniale, oggi perlopiù simbolico, non si pratica più nei fatti da oltre un secolo (l’ultima volta fu per Papa Pio IX nel 1878), ma resta inciso nella liturgia e viene trascritto nel certificato di morte redatto dalla Cancelleria Apostolica. È questo documento che ufficialmente sancisce la fine del pontificato e l’avvio del periodo di transizione.
Come qualcuno di voi già saprà, Bergoglio aveva dato delle disposizioni precise per il suo funerale. Non è la prima volta che un Papa detta regole insolite per l’estremo saluto. Già nel 1455, Niccolò V, il pontefice umanista che promosse la rinascita artistica di Roma, fece scalpore: chiese infatti che la sua tomba fosse collocata con discrezione nella basilica vaticana. Ma Papa Francesco è andato oltre: ha riscritto l’intero Ordo Exsequiarum Romani Pontificis. Nel 2024, appena un anno prima della sua morte, il Santo Padre ha aggiornato in via definitiva le norme liturgiche per i funerali dei Papi. Il documento, che rivede l’edizione pubblicata nel 2000 da Giovanni Paolo II, ha una cifra chiara: sobrietà. D’ora in poi, nessun catafalco, nessun corpo imbalsamato esposto alla venerazione pubblica con mitria e casula, come avvenuto fino a Benedetto XVI. Francesco ha voluto che il Papa, da morto, sia trattato «come ogni cristiano»: sarà esposto su una semplice bara di legno aperta, senza chiusure rituali o cerimonie complesse.
Addio anche alla doppia veglia: ne basta una, la volontà di Papa Francesco. Addio al cerimoniale per la chiusura della cassa. Il volto non sarà più coperto da un drappo di seta, il corpo non più avvolto in tre bare sovrapposte di cipresso, piombo e noce, ma deposto con sobrietà nel luogo indicato dal Papa stesso. Altro elemento inedito: il pontefice ha espressamente chiesto di non essere sepolto nelle Grotte Vaticane, dove riposano la maggior parte dei suoi predecessori. Ha voluto, invece, essere tumulato nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a lui tanto cara, dove si recava a pregare prima e dopo ogni viaggio. Una scelta profondamente simbolica, che parla di un Papa devoto alla Vergine, vicino al popolo e ostile alle pomposità, allo sfarzo.
Nei nove giorni successivi alla morte del Papa, i cardinali celebrano i cosiddetti novendiali, le messe di suffragio che accompagnano la Chiesa verso il nuovo inizio. In uno di questi riti viene spezzato l’Anello del Pescatore, simbolo del potere petrino, che Papa Francesco ricevette nel 2013 durante la messa di inizio pontificato. Tradizionalmente l’anello veniva distrutto con un martello, ma già da Wojtyła si è optato per una più sobria graffiatura. Durante questo periodo, i cardinali si preparano al Conclave, che dovrà eleggere il successore.
La morte di Francesco nel cuore dell’Anno Santo trasforma il Giubileo in un testamento. Eh sì, perché il papa della gente, quello dei gesti semplici e delle parole che toccavano chiunque, si spegne proprio nell’Anno Santo che aveva voluto come medicina per il mondo. L’aveva chiamato non a caso «Giubileo della speranza». Ora, quella speranza dovrà camminare da sola. Il Giubileo continua. Le indulgenze, i pellegrinaggi, le liturgie, tutto è ancora valido. Ma la presenza simbolica di Papa Francesco era il cuore stesso dell’evento: chi potrà prendere il suo posto in questo momento così delicato, mentre la macchina del Vaticano resta sotto i riflettori del mondo?
A livello pratico sarà il camerlengo a gestire le questioni temporali durante la sede vacante. A livello spirituale, però, è tutta un’altra storia. A voler scavare negli archivi, ci sono precedenti. Ma bisogna risalire al Quattrocento: Papa Niccolò V, che dopo aver indetto e celebrato il Giubileo del 1450, morì nel 1455, ancora immerso nelle sue ricadute spirituali e organizzative. Non l’unico caso: Papa Innocenzo XII (Antonio Francesco Pignatelli), a causa delle sue precarie condizioni di salute non poté seguire e chiudere il Giubileo che egli stesso indisse nel 1699 con la Bolla Regi Saeculorum. Innocenzo XII morì poco dopo senza poter terminare l’Anno Santo il 27 settembre del 1700. In quel caso la cerimonia di chiusura della Porta Santa venne presenziata dal successore Clemente XI. Sono eccezioni rare, ma significative. E tutte precedenti all’era dei social media. Oggi la scomparsa di un papa durante un Giubileo si trasforma in un evento globale.
Durante l’apertura del Giubileo della Terra, nel 2025, Papa Francesco pronunciò parole che oggi suonano come un testamento spirituale: «Siamo terra. E dalla terra siamo tratti. Il corpo del Papa è terra». Frasi che pesano più di qualunque enciclica, che dicono tutto. Il Papa è uomo tra gli uomini, fratello tra fratelli. Non un monarca, non un sovrano, ma un servitore. Francesco fino alla fine è stato tra la gente e ha voluto che anche la sua morte fosse coerente con la sua visione del mondo: una Chiesa umile, spoglia.