
La morte di Papa Francesco non segna solo la fine di un pontificato, ma apre una nuova fase carica di interrogativi e tensioni. In attesa dell’apertura del Conclave, tra cordoglio e riflessione, la Chiesa si ritrova a fare i conti con le divisioni interne che hanno accompagnato gli anni di Bergoglio sul soglio di Pietro.
I critici di Francesco: da Burke a Viganò
Quando si parla degli oppositori interni di Papa Francesco, il nome di Raymond Leo Burke è tra i primi a emergere. Ex prefetto della Segnatura Apostolica, cardinale statunitense di linea ultraconservatrice, Burke si è distinto per i ripetuti “no” alle aperture di Francesco: dalla comunione ai divorziati risposati, all’ordinazione femminile, passando per la contraccezione.
Legato ideologicamente alla destra americana e vicino a Steve Bannon, Burke è stato anche al centro di polemiche riguardanti un presunto taglio agli emolumenti deciso da Bergoglio, mai confermato ufficialmente.
Accanto a lui si schierano figure come il cardinale Gerhard Müller, già prefetto della Dottrina della Fede, e Giovanni Angelo Becciu, coinvolto in un controverso processo che lo ha visto condannato per peculato e privato delle prerogative cardinalizie dal Papa stesso.
Vicinanza e divisioni nel momento della sofferenza
Nonostante le fratture, in molti si sono stretti attorno a Papa Francesco nei momenti più difficili. Nel 2021, dopo un delicato intervento chirurgico, lo stesso Pontefice commentò: «Sono ancora vivo, nonostante qualcuno mi volesse morto».
Durante le veglie e i momenti di preghiera in San Pietro, si sono ritrovati fianco a fianco fedeli e critici, uniti nella fede ma distanti nelle visioni ecclesiali. Alcuni più affiatati, altri decisamente più distanti.
Tra i più vicini a Francesco, spiccano figure come Victor Fernandez, nuovo prefetto della Dottrina della Fede, il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere papale, il cardinale Marcello Semeraro e l’honduregno Oscar Maradiaga, esponenti chiave della “Chiesa in uscita”.

Il fronte del dissenso e le parole di Viganò
Sul fronte opposto, restano i critici più intransigenti. L’ex segretario di Benedetto XVI, monsignor Georg Gänswein, ha avuto un rapporto mai realmente sereno con Francesco. E ancor più radicale è l’arcivescovo scomunicato Carlo Maria Viganò, che ha accusato Francesco di voler «distruggere la Chiesa Cattolica».
Parole dure che confermano la spaccatura esistente tra due visioni della Chiesa: una più aperta e pastorale, l’altra legata alla tradizione e a un’interpretazione rigida della dottrina.
Il ruolo dei moderati e la complessità della transizione
Esistono però anche figure che, pur non potendo essere collocate facilmente in uno dei due fronti, godono di ampio rispetto. È il caso di Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, impegnato nella difficilissima realtà mediorientale e considerato un uomo di grande equilibrio.
Il quadro che emerge è quello di una Chiesa che, dopo dodici anni di pontificato, ha avviato numerosi processi di riforma ma che resta in mare aperto. Le tensioni riguardano vari ambiti: diritto canonico, nomine episcopali, pastorale e dottrina. A questo si aggiunge una certa dispersione interna, dovuta anche all’abolizione dei concistori tematici e alla scelta di Francesco di nominare cardinali da aree periferiche del mondo cattolico, rompendo con le logiche tradizionali.
Verso il Conclave: nessun favorito
Oggi 110 dei 138 cardinali elettori sono stati creati da Francesco. Una maggioranza significativa che lascia intendere un’impronta duratura del Papa argentino sul prossimo Conclave. Tuttavia, non c’è un favorito chiaro.
Nel 2013, Bergoglio emerse a sorpresa dopo le dimissioni di Ratzinger, grazie al peso che seppe esercitare durante le congregazioni generali. Oggi si apre un nuovo scenario. I cardinali inizieranno a breve i colloqui riservati previsti prima del Conclave. Ma la scelta del successore appare ancora incerta, segnata da un equilibrio delicato tra continuità e possibile discontinuità.