
Un gesto semplice ma potente: è quello che Papa Francesco ha rivolto con la mano a Massimiliano Strappetti, il suo infermiere, nei suoi ultimi momenti di coscienza. Un ringraziamento silenzioso, ma eloquente, che racconta il valore di chi sta accanto a una persona nel tratto finale della vita.
Un ruolo delicato, fatto di presenza, ascolto e rispetto. Ma come ci si prepara a stare vicino a chi sta per morire? A rispondere è Don Tullio Proserpio, cappellano dell’Istituto dei Tumori di Milano, intervistato dal magazine Vita. Da anni accompagna pazienti e famiglie lungo il confine tra la vita e la morte.
Accettare i propri limiti per stare accanto all’altro
«Riconoscere quello che siamo realmente», dice Don Tullio, è il primo passo per accompagnare qualcuno alla fine della sua vita. «Viviamo in una cultura in cui dobbiamo essere sempre all’altezza, sempre capaci. Invece, il confronto con una malattia o con gli anni che passano ci aiuta a capire quanto siamo limitati, fragili. Questa consapevolezza è la condizione per accompagnare l’altro senza presunzione».
Un aiuto importante può venire anche da una terza persona, spiega Don Tullio: «Qualcuno che mi aiuti a riflettere su quello che sto vivendo, che mi permetta di comprendere meglio il mio modo di stare accanto a chi soffre».
“Camminare insieme” è un atto di libertà
Per Don Tullio, accompagnare qualcuno significa “camminare insieme”, senza sapere dove porterà il percorso. «Se ho un mio desiderio personale – anche spirituale – non è detto che coincida con quello dell’altro. Per questo serve grande libertà interiore. Non si può imporre nulla».
La ricchezza umana dell’ultimo tratto
«Quando una persona si apre e mi racconta le sue paure, le sue angosce, mi regala la propria umanità. E non è scontato». Accompagnare un malato, per Don Tullio, non è solo un servizio: è un’esperienza di reciprocità, che arricchisce anche chi assiste.
«Ci dimentichiamo quanto sia prezioso svegliarsi al mattino, vedere il sole, bere un bicchiere d’acqua. Perdiamo di vista questi doni perché li misuriamo solo economicamente. Invece, sono segni di vita che parlano anche a chi sta accanto».
Davanti alla paura, non servono risposte ma relazioni
Tutti abbiamo paura, ricorda il cappellano. E anche se non possiamo eliminarla, possiamo attraversarla. «Mi piace pensare che anche Gesù, che è Dio fatto uomo, non ci toglie la paura, ma ci aiuta ad attraversarla». Per affrontarla, secondo Don Tullio, serve una cosa: buone relazioni.
«La cattiva relazione mortifica la speranza. Io non posso credere in una vita oltre la morte, se qui e ora non colgo segni credibili di un Dio che mi ama. La fede è un dono, e come tale non può essere imposta. Ciascuno ha la libertà di leggere i segni a modo proprio».