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La suocera, le sgridate e l’orchestra della Scala: il lato tagliente di Papa Francesco

Pubblicato: 23/04/2025 19:39

Monsignor Tino Scotti, 70 anni, bergamasco di Cologno al Serio, ne parla come si farebbe di un qualsiasi coinquilino eccentrico e brillante: è stato otto anni fianco a fianco a Santa Marta, con Papa Francesco, che preferiva le colazioni alle cerimonie, le strette di mano ai palchi, le battute alle omelie troppo solenni. «Nacque tutto perché lui decise di restare a vivere a Santa Marta, dove io ero cappellano delle suore e alle 7 celebravo messa e abbiamo iniziato a celebrare insieme», ha raccontato Scotti.

Altro che Papa “mite”: Bergoglio, a detta di chi gli ha vissuto accanto, sapeva essere davvero tagliente. Ironico, diretto, imprevedibile. Uno che rompeva il cerimoniale con disinvoltura, che si faceva beffa dell’etichetta vaticana. «Gli piaceva la battuta anche se a volte qualcuno si offendeva. Anche perché — diciamolo — da un Papa non te lo aspetti. Per esempio le classiche battute sulle suocere. Alle suore che volevano la beatificazione del loro fondatore disse: “Era bravo, ma ha fatto un errore: fondare il vostro istituto”», ha confidato Monsignor Tino Scotti al «Corriere della Sera». Papa Francesco non era uno che le mandava a dire: a messa, se vedeva uno distratto, lo fulminava con un «Se non le interessa, se ne vada».

Non sopportava la Corte. La evitava, la sabotava, Papa Francesco ne fiutava la piaggeria a metri di distanza. Così come detestava le cerimonie ufficiali: una volta, all’Auditorium con l’orchestra della Scala, il governo al completo e una prima fila riservata a lui, Bergoglio non si presentò. La sedia destinata al Santo Padre restò a sorpresa vuota. «Si disse che non si era sentito bene, ma la verità è che a lui quelle cose non piacevano», ha svelato Scotti. Non l’unica curiosità, il monsignore ne ha tracciato un ritratto decisamente singolare«Gli avevamo fatto fare dei pantaloni bianchi, ma disse: li metto solo se i cardinali li mettono rossi. E non si è più parlato di pantaloni bianchi. Ne metteva come quelli che comperava a Buenos Aires. Era molto severo con sé stesso. La prima Pasqua eravamo a tavola solo una decina, perché è il periodo in cui tutti partono. Era un momento bellissimo, dei prelati fecero dei discorsi di circostanza. Al momento di alzarsi disse: alt, bisogna lavare i piatti. Poi non lo facemmo ma lui era abituato a farlo».

Papa Francesco ha riscritto, in un certo senso, il copione del papato. Sapeva sdrammatizzare e ridere anche della sua persona e forse è per questo che ha lasciato un’impronta così umana. Lo prova l’ondata di affetto della gente, che si è riversata in Piazza San Pietro in queste ore. Sono arrivati da ogni parte del mondo famiglie con bambini in braccio, anziani con le lacrime agli occhi, religiosi e religiose, gruppi organizzati. E poi tanti giovani. Non è solo un omaggio al Papa, è un tributo ad un uomo che ha incarnato l’idea di una Chiesa vicina, concreta, con le scarpe consumate, il sorriso a portata di mano e il cuore pieno d’amore.

Una volta Papa Francesco finì col consigliare una preghiera speciale, tra le sue preferite: quella del buon umore attribuita a San Tommaso Moro. Una perla che sembra il suo testamento spirituale non ufficiale e che la dice lunga sul suo modo di essere: «Dammi, Signore, una buona digestione, e anche qualcosa da digerire. […] Dammi, Signore, il senso dell’umorismo. Fammi la grazia di capire gli scherzi, perché abbia nella vita un po’ di gioia e possa comunicarla agli altri. Così sia». Chi verrà dopo di lui dovrà vedersela con questo: un Papa che ha usato l’ironia come atto di fede.

E mancherà davvero il suo sorriso, che a qualcuno, anche dentro la Chiesa, ha dato più fastidio di una scomunica. Perché Papa Francesco, col suo stile diretto e spiazzante, ha fatto tremare più poltrone di una riforma. E le risate, si sa, possono essere più rivoluzionarie di mille discorsi. D’altronde, esiste una manifestazione di intelligenza più alta dell’ironia?

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