
Vladimir Putin non si è fatto vedere a Roma per i funerali del Papa. Nessuna delegazione russa, nessun segnale ufficiale. Alla cerimonia funebre per Papa Francesco, celebrata in Vaticano sotto gli occhi del mondo, il presidente russo ha preferito l’assenza. Dietro il gesto, più che un atto di distanza diplomatica, si celerebbe un timore concreto: il rischio di essere arrestato in forza del mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale dell’Aia nel marzo 2023 per crimini di guerra.
Ma la realtà, svelata dal Corriere della Sera, è un’altra: quel mandato, in Italia, vale poco o nulla. È dal 17 marzo 2023 che giace nei cassetti del ministero della Giustizia, mai trasmesso alla Procura generale di Roma. “Un pezzo di carta senza effetti giuridici” — così lo definisce il quotidiano, spiegando che un eventuale arresto sarebbe considerato “irrituale” e giuridicamente “nullo”.
Il precedente libico che imbarazza il governo
Non è la prima volta. A gennaio 2024, l’Italia ha già adottato questo approccio: Osama Najeem Almasri, generale libico accusato di crimini contro l’umanità, venne fermato a Roma ma rilasciato in meno di 48 ore, con il silenzio-assenso del ministro Nordio. Ma in quel caso, ci furono anche manovre “furbe” di altri Paesi europei per mettere in difficoltà l’Italia.
Almasri soggiornò a lungo in Germania senza che nessuno intervenisse. Poi fu emanato il mandato di cattura, ma solo dopo che il criminale libico si trasferì in Italia. Dietro le quinte si giocano anche queste partite, di difficile lettura per il pubblico.
Il tutto, in ogni caso, è finito sul tavolo del tribunale dei ministri, che ora indaga anche sulla responsabilità della premier Giorgia Meloni, del ministro Piantedosi e del sottosegretario Mantovano. Nessuna risposta, nessun intervento. Solo un volo di Stato che ha riportato il generale a casa.

Una scelta politica, non giuridica
E Putin? Stessa storia, stesso silenzio. Il Corriere non ha dubbi: si tratta di una scelta politica, figlia di un pragmatismo istituzionale che guarda più a Mosca che all’Aia. Una linea identica a quella tenuta per Benjamin Netanyahu, anch’egli colpito da un mandato della Cpi ignorato dalle autorità italiane. Il governo sostiene che i capi di Stato in carica godano dell’immunità, ma la Corte penale internazionale smentisce: in caso di genocidio, crimini di guerra o contro l’umanità, nessuno è al riparo dalla giustizia.
Eppure, l’Italia resta ferma. Non solo su Putin, ma anche sugli altri dirigenti russi messi sotto accusa dalla Cpi: Maria Lvova-Belova, la commissaria per i diritti dell’infanzia, i generali Kobylash e Gerasimov, l’ammiraglio Sokolov, l’ex ministro Shoigu. Per tutti loro, nessun atto è stato trasmesso, nessuna esecuzione avviata. Un immobilismo che – sottolinea la Corte d’appello di Roma – si basa su un’interpretazione discutibile, la stessa usata per liberare Almasri.
Il nodo giuridico: cosa dice davvero la legge
Eppure, la legge italiana è chiara: dal 2012, prevede che sia il ministro della Giustizia a dare esecuzione alle richieste della Corte dell’Aia, trasmettendole al procuratore generale. Ma Nordio non l’ha fatto. Non per un vuoto normativo, ma per una scelta deliberata, che scavalca il diritto per entrare nel terreno minato della ragion di Stato.
Le considerazioni da fare a questo proposito sarebbero molte. Per esempio, che al di là delle procedure non risulta che altri Paesi europei abbiano esercitato il potere di arresto su personaggi di spicco o Capi di Stato. Perché quello che ne deriverebbe, sarebbe uno scontro istituzionale senza precedenti. Con il rischio di una degenerazione di cui sarebbe difficile prevedere gli sviluppi. Ecco perché esiste la ragion di Stato: e ignorare questa realtà oltre che pericoloso, è anche ipocrita.