
Ogni sera, quando il silenzio calava sui cortili del Vaticano e le stanze si svuotavano di voci, Papa Francesco si ritirava nel suo appartamento alla Domus Sanctae Marthae. Nessun cerimoniale, nessun cameriere ad attenderlo. Solo una cucina modesta, una tavola apparecchiata senza formalità, e lui, chino a prepararsi la cena con gesti semplici, quasi domestici.
Era un’abitudine che non aveva mai voluto abbandonare. Prepararsi da mangiare da solo non era un gesto di eccentricità, ma una scelta profonda. In quelle mani che affettavano il pane o riscaldavano un piatto c’era il desiderio di restare uno della gente, di non perdere il contatto con quella quotidianità fatta di piccole cose che accomuna ogni uomo e ogni donna. Per Francesco, la dignità non stava negli orpelli, ma nella semplicità.
Il rogito, il documento solenne che accompagna ogni pontefice nel suo ultimo viaggio, ha voluto ricordare anche questo: l’immagine di un Papa che, nella sera, dopo una giornata di incontri, preghiera e fatica, si sedeva a tavola da solo, con la stessa naturalezza di chi vive in una casa qualunque. Nessun privilegio, nessuna distanza.
Quella cena silenziosa, ripetuta ogni sera lontano dagli sfarzi, è forse il simbolo più autentico del suo pontificato: una Chiesa povera tra i poveri, un pastore che non si è mai sentito diverso dal suo gregge. Un uomo che, anche quando tutto intorno a lui parlava di potere e grandezza, ha scelto ogni giorno di restare piccolo.
Ora che Papa Francesco ha compiuto il suo ultimo cammino terreno, questa immagine semplice, quotidiana, rimane come una lezione viva. Non per nostalgia, ma come eredità di un modo diverso di essere forti: non dominando, ma servendo.