
Sotto un cielo sereno che pareva sospendere il tempo, due uomini si sono seduti l’uno di fronte all’altro, su sedie semplici dai braccioli dorati e il velluto rosso. Il marmo screziato ai loro piedi, i passi lenti di monsignori e capi di Stato sullo sfondo, il sussurro delle preghiere che saliva verso la cupola. Nessuna fanfara, nessuna dichiarazione: solo uno scambio teso e antico come il mondo, piegato in avanti, carico di pesi invisibili.
In quell’immagine, emersa durante i funerali del Papa, la cronaca si è dissolta, lasciando spazio a un’altra dimensione: quella del mito, della saga, dell’epopea eterna del potere e della pace. Più che un momento storico, sembrava una pagina uscita dalle storie che credevamo soltanto invenzioni: Trono di spade, Il Signore degli anelli, tutte quelle narrazioni che, oggi più che mai, capiamo essere non una fuga dalla realtà, ma la sua esatta trascrizione.

Il fantasy non inventa: ricorda
Il fantasy non è un genere di evasione. È una lingua antica che restituisce al presente la sua natura più autentica: quella di una lotta incessante tra forze opposte, di incontri decisivi che non avvengono sotto i riflettori, ma nell’ombra di un chiostro o nella penombra di una cattedrale. Gli eroi non sono invincibili e i sovrani non sono onnipotenti: sono uomini carichi di paure, ambizioni e speranze, seduti su sedie fragili mentre il mondo si piega e si rialza attorno a loro.
La scena vista a San Pietro, durante un funerale che avrebbe dovuto celebrare solo la fine di un pontificato, ci ha ricordato che la storia reale non procede per eventi spettacolari, ma per gesti minimi, per sguardi trattenuti, per trattative sussurrate sopra antiche pietre. È nella discrezione, non nella retorica, che il mondo cambia corso. Proprio come nei racconti di Tolkien o di Martin, dove i destini si decidono spesso lontano dal fragore delle battaglie.

San Pietro, teatro della memoria profonda
In quell’incontro, circondato dall’austera maestosità della basilica, la modernità ha mostrato il suo vero volto: non l’apparenza tecnologica e rumorosa che siamo abituati a vedere, ma il ritorno ciclico degli archetipi, dei riti antichi, dei negoziati fatti di parole misurate e di silenzi carichi di conseguenze. San Pietro si è trasformata, per un giorno, in un campo di forze invisibili, in un luogo dove la liturgia sacra e la diplomazia terrena si sono fuse in un’unica narrazione.
Così, nell’ora in cui il mondo si radunava per salutare un Pontefice, il reale e l’epico si sono confusi. Le stesse dinamiche che popolano le grandi saghe — l’ambizione, il sacrificio, la ricerca di pace — hanno preso forma davanti ai nostri occhi, dimostrando che il fantasy, quello vero, non immagina mondi lontani: racconta il nostro, con una lucidità che il realismo spesso dimentica.
Il presente, sotto le volte di San Pietro, ha parlato il linguaggio antico del mito. E ci ha ricordato che, anche oggi, la storia non è altro che un grande racconto epico, fatto di uomini, di scelte e di speranze.