
Donald Trump ha sorpreso il mondo intero con un comportamento inedito durante i funerali di Papa Francesco, adottando un atteggiamento conciliante e trasversale che ha scardinato ogni previsione politica. Gli occhi della diplomazia internazionale si sono subito posati su di lui, non solo per la presenza anomala a un evento solenne di questa portata, ma per l’abilità con cui ha trasformato il rito funebre in una vetrina della sua nuova postura globale.

Da contrapposizione ad apertura
Dove prima c’era contrapposizione, adesso c’è apertura. Trump ha stretto mani a destra e a sinistra, colloquiato amichevolmente con Zelensky, ventilato la necessità di un’azione comune contro Putin, intrattenuto scambi distesi con Macron, Starmer e von der Leyen. In poche ore, l’ex presidente ha mandato in archivio il volto del solista aggressivo per indossare quello del grande mediatore.
Questa svolta non nasce certo da un impulso emotivo. L’impressione netta è che Trump stia ricalibrando la propria immagine in vista delle sfide internazionali ed interne degli anni a venire. Sa che senza una rete globale di alleanze credibili, gli Stati Uniti rischiano l’irrilevanza nella partita multipolare che si sta giocando. La sua nuova postura, amica di tutti e nemica di nessuno, sembra rispondere a questa esigenza.

Metamorfosi autentica o manovra tattica?
Resta da capire se si tratta di una metamorfosi autentica o di una manovra tattica. Come spesso accade con Trump, dietro ogni gesto convivono calcolo politico e istinto di sopravvivenza. Ma una cosa è certa: a Roma si è visto un Trump diverso, e il mondo ha cominciato a prenderne atto.