
Non solo un addio. Non solo un lutto planetario. Il funerale di Papa Francesco non è stato solo un evento religioso, ma anche un momento di straordinaria intensità politica. Oggi, tra le navate di San Pietro e le strade di una Roma immobile come non mai, è andata in scena una tregua silenziosa. Una sospensione del mondo, breve ma potentissima, in cui perfino i capi di Stato più distanti si sono trovati fianco a fianco, obbligati dal rispetto (e forse dal destino, da Dio per chi ci crede) a fermarsi, a parlarsi, a guardarsi negli occhi.
Alle 10 in punto, il suono delle campane ha spezzato l’ultima tensione. Piazza San Pietro era già gremita: potenti, diplomatici, fedeli, senzatetto, pellegrini. Tutti mescolati, tutti uguali davanti al feretro di Papa Francesco. E mentre i maxi-schermi mostravano il volto segnato del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, accolto da un applauso spontaneo, nella platea dei “grandi” si consumava un altro rito, più sottile.
Donald Trump, in completo blu, ha rotto ogni protocollo cromatico, scegliendo di non indossare il nero come impone l’etichetta vaticana. Un gesto? Una distrazione? O forse, semplicemente, Trump che resta Trump. Poco dopo, il colpo di scena che pochi si aspettavano: la stretta di mano con Emmanuel Macron, durante lo scambio della pace, previsto dalla liturgia. Un gesto rapido immortalato dai fotografi. Per questa ragione forse si è deciso che i potenti della terra sedessero secondo l’ordine alfabetico francese dei rispettivi paesi? Un modo per evitare che il Tycoon americano si ritrovasse accanto al presidente ucraino Zelensky? Visto il loro ultimo incontro alla Casa Bianca è più che comprensibile. Sappiamo però (la foto è diventata virale) che i due si sono parlati, si son seduti l’uno di fronte all’altro prima dell’avvio della funzione. Un’immagine potente, solenne, che lascia sperare in una trattativa di pace tra la Russia e la martoriata Ucraina.
Non l’unico incontro destinato a far parlare: Giuseppe Conte si è trovato a pochi passi da Mario Draghi. Nessuno scambio di parole udibili, solo un cenno di capo, un saluto veloce di cortesia, ma tanto è bastato per accendere il brusio dei diplomatici presenti. Un’immagine impensabile nei palazzi della politica italiana, dove ogni distanza è calcolata al millimetro. Ma Papa Francesco ha fatto in modo che l’impossibile oggi diventasse inevitabile. È vero, innegabile, il leader del M5s ha mostrato un certo disagio, del resto fu lui ad innescare la crisi che portò alla caduta del governo presieduto dall’ex numero uno della Bce.
In questo scenario sospeso, perfino i movimenti sono sembrati più rallentati. I leader si sono sfiorati nei corridoi di accesso, nelle sacrestie improvvisate, tra i velluti delle stanze vaticane. Non incontri ufficiali, certo, ma colloqui bilaterali non dichiarati, confidenze sussurrate prima che la cerimonia prendesse il via. Papa Francesco ha regalato al mondo una pausa di respiro, una tregua nel fragore incessante della geopolitica. Uno stop che, paradossalmente, potrebbe portare più avanti certi negoziati di mesi interi di vertici formali. Perché il lutto comune, la fragilità condivisa, annullano per un momento le differenze. Per qualche ora, a Roma, non ci sono stati nemici o rivali, solo uomini e donne davanti al mistero della fine. Con il cuore scoperto, senza corazze. E in quel vuoto, si sono infilati i primi sussurri di intesa.

C’è chi dice che alcuni capi di Stato abbiano fissato incontri informali già per stasera, negli hotel blindati del centro storico. Altri parlano di aperture improvvise su dossier congelati da mesi. Nulla di certo, nulla di ufficiale. Ma il seme è stato piantato, è una buona notizia. Sarà proprio questa giornata di lutto a portare il mondo più vicino alla pace? Forse questa sospensione resterà solo un lampo, una parentesi nella corsa del mondo. Ma intanto la diplomazia ha parlato con il linguaggio più universale e più potente di tutti: il silenzio.
E probabilmente, in fondo, era proprio questo l’ultimo desiderio di Papa Francesco: offrire al mondo un abbraccio. Non uno qualsiasi, ma un abbraccio ampio, imperfetto, contraddittorio, come solo la vera umanità sa essere. Un abbraccio che accoglie il migrante e il capo di Stato, il povero e il potente, l’amico e il nemico. Una stretta che costringe anche chi si guarda con sospetto a trovarsi a pochi centimetri di distanza, senza la protezione dei protocolli. Quel corteo di uomini e donne in nero (e qualche lampo di blu, come a ricordare che nessuna regola è mai assoluta) è stato l’ultima pretesa di un Papa davvero rivoluzionario. Per Bergoglio non sono mai esistite barriere davanti al mistero della vita e della morte. Niente confini che tengano, né guerre che possano giustificare per sempre l’odio.

Tra un applauso a Zelensky e un gesto inatteso di Trump, tra uno sguardo fugace di Draghi e Conte e il passo lento del principe William, rimasto solo davanti alla bara, Papa Francesco ha accolto il mondo come una madre fa con i figli inquieti, senza pretendere risposte. L’ultimo viaggio di Bergoglio ci rammenta che esiste un terreno comune, fragile ma possibile, dove anche i conflitti più duri possono trovare una tregua. Anche solo per qualche ora, per un semplice respiro. E chissà che quest’ultimo non possa fare domani la differenza. L’unica certezza è che oggi Roma è il centro del mondo, i potenti delle Terra son tutti qui.