
Giovanni Allevi, compositore e pianista tra i più amati dal pubblico italiano, ha affidato al Corriere della Sera un toccante ricordo di Papa Francesco, in un momento in cui il mondo intero piange la scomparsa del Pontefice. L’artista, da tempo impegnato in una battaglia personale contro la malattia, ha voluto rendere omaggio a Francesco con parole cariche di emozione, fede e consapevolezza.
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«Gli dedicherei una composizione inedita», ha detto Allevi, riferendosi al brano “Adagio dal Concerto MM22 per violoncello e orchestra”, scritto durante il suo ricovero in ospedale. «È un canto struggente colmo di umanità, ispirato alla parola “Mieloma”, il mio male. Sono certo che da lassù Francesco ne accoglierebbe le note con il suo amatissimo sorriso». Un gesto intimo, personale, che lega musica, dolore e spiritualità in un tributo sincero.
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Il legame tra il musicista e il Papa era profondo, nutrito anche dai ricordi di un concerto in Piazza San Pietro davanti a migliaia di giovani. «Ricordo la stretta delle mani, il suo sorriso limpido, quel senso di familiarità», racconta. «Solo un rimpianto mi accompagna: non averlo abbracciato. Ero giovane, e non avevo ancora imparato a seguire fino in fondo il cuore».
Per Allevi, la morte del Pontefice rappresenta la perdita di una figura universale, l’ultimo baluardo di umanità in un mondo dominato da interessi economici e logiche di potere. «Siamo orfani di un padre saggio», ha detto. «Papa Francesco era l’unico, tra i potenti, a preoccuparsi del bene collettivo. Era una voce fuori dal coro, un simbolo di speranza che adesso ci manca terribilmente».

In lui, Allevi ha visto un riflesso della propria storia. «Anche il Papa ha affrontato il dolore con coraggio, come me. Quando disse che le pareti degli ospedali hanno ascoltato più preghiere sincere di molte chiese, mi tornò alla mente la mia lunga degenza. Non pregavo per guarire, ma per accettare il dolore e la paura. Forse Dio ha ascoltato la mia preghiera».
La spiritualità di Francesco, dice il maestro, era fatta anche di umorismo, dolcezza e attenzione agli ultimi. «Quel suo sorriso era una carezza per i poveri e gli emarginati», afferma. «Viviamo in un mondo inquinato dalla ricerca dell’autoaffermazione, ma potremmo ripartire proprio dal suo esempio, per riscoprire la solidarietà e la compassione».
Il vuoto lasciato dal Papa è grande, ma il suo messaggio non è destinato a spegnersi. «Come le opere di Bach che restano eterne, anche le parole e i gesti di Francesco continueranno a parlarci nel tempo. Ci ha insegnato che ogni essere umano, nella propria fragilità, custodisce una scintilla divina. E questa consapevolezza, maturata anche grazie alla malattia, è oggi il mio orizzonte più autentico».