
Un intero Paese al buio, treni fermi, semafori spenti, ascensori bloccati. Il blackout che ha paralizzato la Spagna e parte del Portogallo il 28 aprile non è solo un episodio da archiviare sotto la voce “incidenti tecnici”. È il segnale di qualcosa di più profondo e strutturale, un campanello d’allarme anche per chi oggi scommette tutto sulle energie rinnovabili, senza però avere ancora una rete in grado di gestire l’instabilità congenita di queste fonti di rifornimento.
Il paradosso della transizione energetica
La Spagna è oggi tra i Paesi europei più avanzati nella conversione energetica. Oltre il 50% dell’energia elettrica consumata nel 2023 è stata prodotta da fonti rinnovabili, in particolare eolico e fotovoltaico. Un dato che potrebbe far gioire chi promuove la transizione verde. Eppure, proprio in quel modello virtuoso, si annida una delle ipotesi più plausibili del collasso energetico.
Le rinnovabili sono energie per natura intermittenti: dipendono dal sole e dal vento, non da una produzione continua e controllata. E qui nasce il cortocircuito: le reti elettriche, per funzionare correttamente, devono garantire equilibrio costante tra domanda e offerta. Quando la produzione da rinnovabili supera la richiesta o diventa irregolare, entrano in azione sistemi di bilanciamento che chiedono ai produttori di staccarsi dalla rete. Ma se questo avviene in modo simultaneo o incontrollato, il sistema può andare in tilt.
Quando il sole brilla troppo (o troppo poco)
A innescare il blackout, secondo l’operatore nazionale Ree, sono state due perdite improvvise di generazione avvenute in pochi secondi. Perdite che il sistema non è riuscito ad assorbire. Questo tipo di fenomeno è tipico di una rete che ha una quota elevata di fonti non programmabili.

Se un impianto eolico perde efficienza per un calo di vento, o se un picco solare genera sovrapproduzione eccessiva in pieno giorno, i meccanismi di protezione della rete possono attivare distacchi automatici. E così, paradossalmente, più si cresce in energia verde, più serve una rete solida, intelligente, flessibile. Altrimenti, la sostenibilità rischia di diventare instabilità.
Obiettivo 2030: serve concretezza, non solo ambizione
Il governo spagnolo punta all’81% di energia rinnovabile entro il 2030, ma il blackout di aprile ci costringe a chiederci: le infrastrutture attuali sono sufficienti? Ed è credibile pensare di ottenere un sistema stabile se ci si affida quasi solo alle rinnovabili? Non basta costruire impianti eolici e fotovoltaici: serve accumulo, gestione in tempo reale, interconnessione tra le reti.
Serve, soprattutto, un cambiamento culturale unito alla consapevolezza di una realtà: il mix energetico non può dipendere da una sola fonte, nemmeno se verde. Come ha osservato Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, “le rinnovabili vanno integrate, non idolatrate”. La rete dev’essere progettata per reggere gli sbalzi, non solo per assecondare obiettivi politici o utopistici.

Le altre ipotesi: concause e fragilità del sistema
In attesa dei risultati ufficiali, gli esperti hanno avanzato possibili spiegazioni che, forse sommate una all’altra, hanno causato il disastro. La possibilità di un Cyber-attacco è stata smentita da Enisa e dall’operatore nazionale Ree. La vibrazione atmosferica, proposta in prima battuta, teoricamente legata a oscillazioni dei cavi per bruschi cambiamenti climatici, oltre a sollevare molte perplessità non è stata confermata nemmeno dai dati meteo.
Un incendio ai cavi d’importazione dalla Francia di cui si è parlato può essere una possibile concausa, ma è insufficiente per spiegare un blackout così vasto. L’ipotesi (preoccupante) di un’anomalia nucleare in Francia è stata invece smentita dal premier spagnolo Sanchez. In ogni caso, il problema dell’interconnessione energetica europea resta.
Conclusione: più rinnovabili, più responsabilità
Il blackout iberico ha mostrato una verità che in troppi fingono di ignorare: la transizione ecologica è un percorso complesso, non può essere frutto di un’utopia green o di accelerazioni ideologiche. Servono investimenti, tecnologia, buon senso. E soprattutto serve smettere di credere che “più rinnovabili” significhi automaticamente “più sicurezza”. O che una rete energetica possa essere composta solo di rinnovabili.