
Un generale fuori controllo, una procedura che sfugge di mano e un ordigno sganciato nel vuoto: lo scenario apocalittico raccontato da Il Dottor Stranamore sembra fantascienza, ma non è poi così lontano dalla realtà. O almeno, non per Paul Slovic, tra i massimi esperti mondiali in psicologia del rischio, che mette in guardia contro un pericolo sempre più concreto: «I nostri studi mostrano perché è probabile che le armi nucleari vengano utilizzate di nuovo».
Secondo Slovic, docente all’Università dell’Oregon, non basta confidare nella razionalità dei leader mondiali. Il meccanismo alla base della deterrenza nucleare si fonda sull’idea che nessuno voglia la distruzione totale. Ma, avverte, «la razionalità è solo una parte del processo decisionale. In certe situazioni, l’emotività può prevalere». È il concetto di effetto prominenza: sotto pressione, gli esseri umani tendono a scegliere ciò che appare più urgente, anche a scapito del lungo termine.

Il pensiero veloce che decide per noi
«Abbiamo due sistemi mentali: uno veloce, emotivo; l’altro lento, analitico. Spesso è il primo ad avere la meglio, anche nelle decisioni più critiche». Ecco perché, spiega Slovic, non è così assurdo pensare a un conflitto atomico scatenato da impulsi più che da calcoli freddi.
Ma quanto sarebbe socialmente tollerabile una guerra nucleare? Uno studio su tremila americani ha dato risposte inquietanti: quando gli intervistati dovevano scegliere tra continuare una guerra terrestre o sganciare una bomba nucleare che avrebbe ucciso fino a due milioni di civili nemici, oltre il 20% ha preferito l’opzione nucleare per evitare perdite statunitensi. E con danni americani maggiori, il sostegno all’uso della bomba saliva al 50%.
«È l’effetto dell’anestesia psichica», chiarisce Slovic. «La mente umana non riesce a empatizzare con numeri troppo grandi. Più le vittime aumentano, più diventano statistiche. E i numeri non ci commuovono».
La “violenza virtuosa” e l’illusione della giustizia
Altro concetto chiave è quello di violenza virtuosa: «Quando le vittime sono percepite come colpevoli, diventa moralmente accettabile punirle. Questo meccanismo è potente, soprattutto se usato per proteggere interessi nazionali o ideologici».
La soluzione? «Ridurre l’arsenale, rafforzare i controlli e firmare nuovi trattati. E, soprattutto, non lasciare che le emozioni decidano da sole. Abbiamo bisogno di più consapevolezza: ogni vittima ha un volto». Slovic lancia un appello: «Possiamo ancora invertire la rotta. Ma l’Orologio dell’Apocalisse segna solo 59 secondi alla mezzanotte».