
In un mondo sempre più diviso, i paesi del Golfo Arabo si stanno sempre più ritagliando un ruolo da protagonisti nella diplomazia internazionale. Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar non si schierano apertamente con nessuno, ma usano le loro relazioni con tutti gli attori globali per facilitare il dialogo e ridurre le tensioni. Ma come hanno fatto questi Paesi a diventare la “nuova Svizzera”?
Non si tratta solo del petrolio, anzi. Gli Emirati Arabi Uniti, in particolare, stanno costruendo la loro influenza attraverso una combinazione di pragmatismo, cultura e cooperazione tecnica. Invece di puntare su alleanze rigide, promuovono un approccio che potremmo chiamare “neutralità attiva”: parlano con tutti, partecipano a tavoli diversi e cercano soluzioni concrete, anche su temi molto delicati.
Un esempio recente è l’incontro tra Sheikh Saif bin Zayed Al Nahyan, ministro dell’Interno emiratino, e il suo omologo russo a Mosca. Non si è trattato solo di una visita istituzionale: i due paesi hanno firmato un accordo per collaborare su sicurezza interna, crimine organizzato e protezione dei minori. Si è poi inaugurata una mostra d’arte dedicata a Sheikha Fatima bint Mubarak, figura simbolo dei diritti delle donne nel mondo arabo, alla presenza di alte autorità russe. A corollario di questi eventi, è stato annunciata l’apertura nel prossimo futuro di un centro culturale russo ad Abu Dhabi. Tutto questo mostra come, anche nei momenti di maggiore tensione politica, sia possibile creare canali di contatto attraverso cultura, educazione e cooperazione settoriale.
Anche l’Arabia Saudita si muove con equilibrio. Continua a collaborare con la Russia sul fronte energetico, ma allo stesso tempo ha ospitato colloqui con rappresentanti ucraini e offre spazi di dialogo anche tra americani e russi. In pratica, riesce a mantenere rapporti funzionali con tutte le parti, senza farsi tirare da un lato o dall’altro.
Perché l’Occidente guarda con sempre più attenzione al Golfo? Certo, questi paesi hanno risorse economiche e giocano un ruolo chiave nel mercato energetico, ma soprattutto perché riescono a parlare con tutti. Sono visti come interlocutori credibili anche da potenze rivali tra loro. Inoltre, promuovono un’agenda di soft power fatta di cultura, sicurezza e iniziative umanitarie, che spesso apre strade dove la diplomazia tradizionale si blocca. A questo si aggiunge l’uso strategico di grandi eventi sportivi internazionali, come la Coppa del Mondo di calcio o i gran premi di Formula 1, che hanno rafforzato la visibilità globale della regione e accresciuto il suo peso politico. Non si può più guardare al Golfo solo come a un hub petrolifero: oggi è un attore centrale nella gestione delle relazioni internazionali.
In conclusione, i paesi del Golfo non cercano di diventare arbitri dei conflitti globali. Ma, in un sistema internazionale sempre più frammentato, riescono a costruire piccoli spazi di dialogo. Non è poco. In tempi in cui le istituzioni multilaterali arrancano e le tensioni aumentano (vedi anche quel che sta accadendo tra India e Pakistan), avere luoghi dove parlare – anche informalmente – può fare la differenza.