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Il Giappone avverte gli Usa: abbiamo 1 trilione di T bond in mano: l’effetto sui mercati

Pubblicato: 03/05/2025 07:50

Il Giappone potrebbe prendere in considerazione l’utilizzo delle proprie riserve di titoli del Tesoro statunitensi come strumento di pressione nei negoziati commerciali con gli Stati Uniti. A dichiararlo è stato il ministro delle Finanze Katsunobu Kato, che ha esplicitato per la prima volta il potenziale uso del portafoglio giapponese di Treasury bond – pari a oltre 1.000 miliardi di dollari – come carta da giocare sul tavolo delle trattative, soprattutto in risposta ai nuovi dazi imposti dall’amministrazione Trump.

Un portafoglio da 1.079 miliardi di dollari

A maggio 2025, il Giappone risulta essere il principale creditore estero degli Stati Uniti, con 1.079 miliardi di dollari in titoli del Tesoro. Seguono la Cina con 760,8 miliardi e il Regno Unito con 740,2 miliardi. Le parole di Kato non hanno contenuto una minaccia esplicita di vendita, ma hanno comunque alimentato le preoccupazioni degli investitori globali, già allarmati dalle tensioni sul fronte commerciale e valutario.

L’effetto Trump e le vendite di aprile

Il mercato dei Treasury è stato colpito da un’ondata di vendite internazionali ad aprile, dopo che il presidente Donald Trump ha annunciato nuovi dazi su vari partner commerciali, compreso il Giappone. Kato ha precisato che le riserve in titoli del Tesoro servono a garantire liquidità per interventi valutari, ma ha anche aggiunto: «Dobbiamo mettere tutte le carte sul tavolo durante i negoziati».

Una svolta nel linguaggio diplomatico

Il tono adottato da Kato rappresenta un cambio di strategia rispetto al passato. In precedenti dichiarazioni, il ministro aveva escluso che le riserve di Treasury potessero essere utilizzate come leva. Questa volta, invece, ha lasciato aperta la porta a un possibile uso strategico, evitando però di confermare se il tema sia stato affrontato durante l’incontro bilaterale con il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent.

Il potere silenzioso dei grandi creditori

La centralità del Giappone (e della Cina) nel mercato dei Treasury rende ogni loro mossa o dichiarazione potenzialmente destabilizzante. Se il Giappone, in quanto alleato storico, appare meno incline a una dismissione aggressiva, alcuni analisti ritengono che la Cina possa invece valutare una liquidazione selettiva in caso di ulteriore inasprimento delle tensioni con Washington. Finora, però, non ci sono segnali concreti: a febbraio, le riserve estere in Treasury sono aumentate del 3,4%, segno che l’accumulo prosegue.

Una leva concreta per il Giappone

L’utilizzo del portafoglio in titoli americani è una leva implicita, utile per rafforzare la posizione negoziale del Giappone, in particolare alla luce della dipendenza commerciale dal mercato automobilistico statunitense. «Giocare la carta in anticipo è una mossa intelligente», ha commentato Martin Whetton, strategist di Westpac. «Non è necessario agire, basta essere nella posizione giusta».

Durante l’incontro a Washington con Bessent, il capo negoziatore giapponese Ryosei Akazawa ha discusso di commercio, misure non tariffarie e cooperazione strategica. Un nuovo round di colloqui è previsto per metà maggio.

Dazi sospesi per 90 giorni: la pressione dà i primi frutti?

La pressione dei mercati potrebbe già aver avuto un effetto. Il presidente Trump ha sospeso per 90 giorni il suo piano tariffario «reciproco», secondo Reuters anche grazie al ruolo di mediazione svolto da Bessent. Il Giappone ha inoltre respinto le accuse americane di manipolazione dello yen, ritenute prive di fondamento dal governo di Tokyo.

Un’arma potente, ma a doppio taglio

Le riserve valutarie giapponesi potrebbero essere utilizzate anche in un contesto di tensioni sui cambi, pur con tutti i rischi del caso. «Dovrebbero essere una carta nei negoziati, se non un asso», afferma Naka Matsuzawa di Nomura Securities. Tuttavia, un selloff di titoli Treasury potrebbe causare gravi perdite in conto capitale e turbolenze finanziarie anche per il Giappone stesso.

«In passato si pensava fosse solo teoria», ricorda Nathan Sheets, ex funzionario del Tesoro USA. «Oggi il fatto che se ne parli apertamente riflette la gravità del contesto geopolitico ed economico».

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