
ROMA – Non giocava, ma era lì. A bordo campo, con la tuta della Fiorentina addosso e il cuore da sempre colorato di giallorosso. Edoardo Bove, 22 anni, ha vissuto uno dei momenti più intensi della sua giovane carriera alla fine di Roma-Fiorentina, una partita che per lui è stata molto più di novanta minuti. Perché l’abbraccio dell’Olimpico, quello vero, quello della Curva Sud, è arrivato forte e chiaro, e non c’era bisogno di parole.
Al triplice fischio, mentre i giocatori si scambiavano saluti e maglie, uno dei cori più sentiti della serata ha preso vita dal cuore pulsante dello stadio: era per lui, per quel ragazzo cresciuto a Trigoria, passato per ogni categoria delle giovanili e poi diventato simbolo silenzioso della romanità in campo. Per chi era sugli spalti non era un avversario. Era il figlio che torna a casa dopo una lunga assenza, e che si ritrova nel calore della sua gente.
Da dicembre, Bove non scende più in campo. Il malore accusato durante Inter-Fiorentina a San Siro ha interrotto all’improvviso la sua stagione e la sua normalità. Fu sostituito d’urgenza, poi trasportato in ospedale: un’aritmia cardiaca ha reso necessario l’impianto di un defibrillatore sottocutaneo, misura che di fatto ne ha bloccato l’attività agonistica. Da allora, nessun minuto giocato, nessuna conferenza, solo silenzio e riabilitazione. E soprattutto, non ha mai nascosto l’amore per la Roma.
Per questo, quando la Curva Sud ha intonato il suo nome, Bove si è commosso visibilmente. Il volto tradiva l’emozione, lo sguardo basso cercava di contenere le lacrime. Ha applaudito, ha ringraziato, poi si è portato una mano al cuore. Non ha detto nulla, ma tutto era già stato detto. Nel calcio dei social, dei trasferimenti veloci, delle identità liquide, questo è stato un gesto raro. Vero. Sentito.
Nessuno allo stadio ha dimenticato che solo pochi mesi fa, quel ragazzo correva proprio lì, con la maglia della Roma addosso. La maglia che ha vestito per oltre dieci anni, dall’infanzia alla Serie A. E che per lui non è stata solo una maglia, ma un’appartenenza. La stessa che i tifosi hanno voluto riaffermare con forza, con un coro che suonava come una carezza e come un invito a non mollare.
Non sappiamo se e quando Bove tornerà a giocare. Ma questa sera, in quello stadio che per lui è sempre stato casa, ha ricevuto qualcosa che va oltre il pallone: la certezza di non essere stato dimenticato. Di essere ancora uno dei loro. E forse, questo vale quanto un gol sotto la Sud.