
Un nuovo piano militare, approvato all’unanimità dal gabinetto di sicurezza israeliano e annunciato dallo stesso premier Netanyahu, segna l’imminenza di una massiccia offensiva a Gaza: si profila un’estensione su larga scala dell’operazione nella Striscia.
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Lo stop all’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, deciso dal gabinetto di sicurezza israeliano, segna una nuova escalation nel conflitto e aggrava una crisi già al limite del collasso. Nonostante l’approvazione di un piano per la distribuzione di beni essenziali tramite aziende private, l’attuazione è stata rinviata alla prossima settimana, dopo la prevista visita di Donald Trump nella regione. Fino ad allora, i camion resteranno bloccati al confine, mentre la popolazione civile di Gaza continua a vivere in condizioni disperate.

La mossa israeliana arriva insieme all’approvazione di un piano militare che prevede l’occupazione prolungata di ampie porzioni della Striscia e lo sfollamento di centinaia di migliaia di palestinesi verso il sud. Il piano ha ricevuto forti critiche interne ed esterne: al voto si è opposto il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, ma ancora più netto è stato il messaggio dell’Unione Europea. Bruxelles ha espresso “profonda preoccupazione” per le conseguenze umanitarie di un’escalation militare, chiedendo il ritorno al cessate il fuoco e la ripresa del flusso degli aiuti.

Il terreno su cui Israele intende muoversi è però molto incerto. Secondo fonti militari citate da Ynet, il piano approvato è “ampio ma limitato”: non riguarderebbe tutta la Striscia e eviterebbe le zone dove si sospetta la presenza di ostaggi. L’obiettivo dichiarato è passare da incursioni mirate alla conquista stabile di alcune aree, con operazioni di bonifica e di distruzione della rete di tunnel sotterranei usata da Hamas. Una precisazione necessaria dopo le proteste delle famiglie degli ostaggi, secondo cui il piano “sacrifica la loro sorte” a favore di obiettivi militari.
Proprio la questione degli ostaggi è diventata uno dei punti più divisivi in Israele. Il ministro di estrema destra Bezalel Smotrich ha ribadito con fermezza che “non ci sarà alcun ritiro dalle aree conquistate, nemmeno in cambio degli ostaggi”, rilanciando l’idea di un’occupazione permanente della Striscia. A suo dire, l’unica via per liberarli è la “distruzione totale di Hamas”, mentre ogni ipotesi di compromesso rappresenterebbe “un passo verso un nuovo 7 ottobre”.
Nel frattempo, i raid israeliani su Gaza sono continuati anche nelle ultime ore, causando almeno 19 vittime, secondo fonti locali. Hamas ha accusato Tel Aviv di usare gli aiuti umanitari come strumento di pressione politica, mentre il capo dell’IDF ha avvertito che “un’escalation militare potrebbe compromettere la possibilità di salvare i rapiti”. Una posizione che sottolinea l’equilibrio fragile tra obiettivi bellici, pressione diplomatica e tensione interna.
Con l’approssimarsi del conclave di fuoco tra le diplomazie mondiali, la comunità internazionale osserva con crescente allarme. Il blocco degli aiuti, l’incertezza sulla sorte degli ostaggi e la prospettiva di un’occupazione a tempo indeterminato alimentano timori di una nuova spirale di violenza. Per l’Ue è “essenziale interrompere il ciclo di sofferenza” e impedire che la crisi in atto diventi l’ennesimo punto di non ritorno in Medio Oriente