
Era ottobre. 1964. Me lo ricordo bene quel giorno. Trieste, via Ovidio. Dal terrazzo si ammirava il golfo. Pomeriggio. Avevo quasi 11 anni. Il babbo citofonò e mi disse di scendere. Scesi. Apri’ il portellone del bagagliaio della Renault 4 rossa. Dentro c’era un pacco, grosso. Che cos’è? “Aspetta. Aiutami”. Pesava ma in due non fu un’impresa raggiungere il terzo piano con l’ascensore. La mamma teneva la porta aperta. Quel giorno arrivò la televisione. Un altro mondo. Non siamo stati i primi ad averla in salotto. La “Radiovisione”, così si chiamava, esisteva in Italia dal 1939, ma la guerra fermò tutto. Rinacque nel 1954. Ma ci volle tempo perché si diffondesse. Dieci anni dopo gli abbonati erano solo 300mila. Gli italiani 50milioni.
La televisione si intravvedeva sbirciando nei bar. Ma i bar erano “proibiti”. Qualcosa l’avevamo vista a casa degli amici dei miei. Quelle immagini in bianco e nero racchiuse nello schermo tondo. I grandi guardavano gli “sceneggiati”. I piccoli sognavano. Così, a dicembre, ho scoperto Georges Simenon. Grazie a quelle 35 puntate delle Inchieste del commissario Maigret. Tutto il resto è venuto dopo. Con i libri. Tutti. I polizieschi, gialli, i noir, i “duri”, i grandi reportage dai suoi giri per canali francese e per continenti, con la macchina fotografica sempre pronta.

Ma tutto cominciò con Gino Cervi-Maigret e Andreina Pagnani-signora Maigret. E se hai cominciato così ti viene un groppo alla gola quando te li ritrovi sullo schermo, all’improvviso, in una saletta delle Galleria Modernissima, nel cuore di Bologna, che ospita la mostra Georges Simenon. Otto viaggi di un romanziere, curata da Gianluca Farinelli e John Simenon. Curata alla perfezione, va detto. I “fissati” di Simenon saranno capaci di notare qualche smagliatura. Ma, insomma, ci vuole coraggio. Io non ne ho trovate. Perché dell’immenso scrittore vallone c’è veramente tutto. Nel lungo sotterraneo di piazza Maggiore si incrocia l’intero Simenon, dalla sua Liegi dell’Esposizione Universale del 1905 (aveva 2 anni) alla cappelleria di famiglia, dalla sue prime giovanilissime prove giornalistiche in Belgio alla Parigi dove esplode il cronista e lo scrittore, dagli anni americani a Porquerolles, dall’Italia con l’amico Fellini alla Svizzera.
Documenti autografi, fotografie, manifesti, le vignette, schizzi, le copertine originali dei rotocalchi per i quali scriveva e dei suoi libri, compresi quelli firmati con gli infiniti pseudonimi, da Georges Sim a Georges Simenon. Una vita intera, mogli e amanti comprese. E ti viene, come sempre, da chiederti come sia stato possibile che quel ragazzo vallone sia diventato un genio, al di là di Maigret e di quel mondo in cui il commissario vive cercando, certo, di scoprire l’assassino, ma prima ancora di capire come, in quale contesto sociale, può nascere un assassino. A Maigret interessa il perché prima del come. Che il contesto siano i bassifondi, le periferie dolenti, o il jet set internazionale, sempre negli stessi alberghi, nello stesso lusso senza limiti, l’animo umano resta quel che è, capace di perversioni senza limiti.
Il “mostro” belga francofano voleva essere considerato solo un romanziere. Capace di scrivere un giallo in una settimana e, con calma, un romanzo cupo, profondo, scavando nell’animo umano. In realtà è stato anche un grande giornalista. Difficile dire quale sia il Simenon migliore. Cogliere il clima di Odessa negli anni sovietici, per dirne una, è da grandi. La verità è che Simenon è stato enorme in entrambi i “mestieri”, ed è impossibile non cogliere il giornalista nella letteratura e il romanziere nel giornalismo. Tra i tanti “reperti”, non per caso, è esposto il suo primo biglietto da visita liegese: Georges Sim/Journaliste.
In Italia fu scoperto nel 1931, quando Mondadori pubblicò Pietro il Lettone. Fu subito amato. Gino Cervi – uno dei dieci Maigret televisivi e cinematografici – lo consacrò. Fu amato in Italia e ricambiò l’Italia. Per questo, forse, la mostra non poteva che cominciare la sua strada in un affascinante sotterraneo bolognese.