
La nuova strategia economica del presidente Donald Trump prende forma tra dazi doganali, tagli ai finanziamenti alla ricerca e stretta sulle università americane. A farne le spese saranno soprattutto i prodotti farmaceutici importati e la ricerca biologica, compresa quella sui virus, ambiti considerati cruciali durante e dopo la pandemia. Il tutto mentre l’Europa rilancia con un piano per attrarre i ricercatori in fuga dagli Stati Uniti, alimentando una frattura sempre più evidente tra Washington e il Vecchio Continente.
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Dazi sui farmaci entro due settimane
Nel corso di un incontro con la stampa, Trump ha annunciato che entro due settimane introdurrà dazi specifici sui prodotti farmaceutici importati. Una decisione che arriva dopo l’indagine avviata lo scorso mese su come le importazioni nel settore sanitario influenzino la sicurezza nazionale americana. Il comparto farmaceutico era rimasto finora escluso dalle tariffe protezionistiche dell’amministrazione Trump, ma ora rischia di essere travolto da nuove barriere che potrebbero aumentare i costi sanitari per i cittadini americani e ridurre la competitività delle aziende.

Questa mossa è parte di una più ampia strategia che punta a riportare la produzione sul suolo statunitense. Secondo Trump, solo una maggiore autonomia industriale potrà garantire il rilancio dell’economia americana. Tuttavia, tra continui annunci e retromarce, la posizione della Casa Bianca resta incerta, generando instabilità nei mercati e preoccupazione tra gli operatori del settore.
Stop ai fondi per la ricerca sui virus
Parallelamente, Trump ha firmato un ordine esecutivo che blocca i finanziamenti a progetti di ricerca biologica in alcuni Paesi esteri. Nel mirino ci sono gli studi sul cosiddetto “guadagno di funzione”, accusati da parte dell’amministrazione di aver favorito la pandemia da Covid-19 in seguito a presunte fughe di dati da laboratori cinesi. Il segretario alla Salute, Robert F. Kennedy Jr., ha dichiarato su X che nessun laboratorio può dirsi immune da incidenti, sottolineando come l’interruzione dei fondi sia necessaria per evitare futuri disastri sanitari.
Thank you @POTUS for signing this historic Executive Order today. There's no laboratory that's immune from leaks — and this is going to prevent inadvertent leaks from happening in the future and endangering humanity. https://t.co/yVzDFczIq9
— Secretary Kennedy (@SecKennedy) May 5, 2025
Anche Jay Bhattacharya, direttore dei National Institutes of Health, ha appoggiato la linea dura, sostenendo che questa ricerca rappresenta un pericolo non solo per i singoli Paesi ma per l’intera umanità. L’ordine esecutivo cita esplicitamente la Cina come Paese a rischio, e prevede di estendere il blocco anche ad altri Stati considerati “privi di adeguati controlli”.
Inoltre, il provvedimento chiede al governo di elaborare una strategia per monitorare la ricerca pericolosa sul suolo americano, anche quando condotta senza fondi pubblici. Tuttavia, l’effettiva possibilità di sorvegliare il settore privato resta incerta e potrebbe richiedere una nuova legislazione, come riconosce lo stesso testo dell’ordinanza.
Stretta su Harvard, via le sovvenzioni federali
La scure dell’amministrazione Trump si è abbattuta anche su Harvard, una delle università più prestigiose e ricche degli Stati Uniti. L’ateneo non riceverà nuove sovvenzioni federali, secondo quanto comunicato in una lettera firmata da Linda McMahon, segretario all’Istruzione. La motivazione ufficiale è una “gestione disastrosa” dell’università, ma diversi osservatori interpretano la mossa come una forma di pressione politica per costringere Harvard a allinearsi alla linea anti-woke e ad assumere una posizione più netta contro le proteste filopalestinesi.
L’iniziativa fa parte di una più ampia campagna del governo statunitense volta a riformare l’istruzione superiore e limitare il peso di istituzioni considerate ideologicamente distanti dalla Casa Bianca. Ma la decisione rischia di generare un contraccolpo internazionale, proprio mentre l’Europa si muove per attrarre i migliori talenti.
L’Europa rilancia con “Choose Europe for Science”
Il clima di tensione negli Stati Uniti offre una sponda all’Unione Europea. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, insieme al presidente francese Emmanuel Macron, ha lanciato a Parigi il programma “Choose Europe for Science”, destinato a rilanciare il ruolo del Vecchio Continente nella ricerca scientifica globale. L’obiettivo è chiaro: accogliere i “cervelloni” delusi dalle scelte dell’amministrazione americana e rafforzare la posizione dell’Europa nel settore delle scienze della vita.
Tuttavia, l’iniziativa non ha raccolto un consenso unanime. Il governo italiano, assente alla presentazione ufficiale, ha espresso malcontento attraverso fonti del ministero dell’Università. Secondo Roma, l’evento sarebbe stato organizzato troppo in fretta e con finalità politiche, più che scientifiche.
La ministra Anna Maria Bernini ha definito il progetto un’“iniziativa francese”, ribadendo che l’Italia ha già agito concretamente, stanziando un bando da 50 milioni di euro il 7 aprile scorso per sostenere la ricerca nazionale. Anche Matteo Salvini, con toni più diretti, ha criticato Macron, affermando che l’Italia attira i ricercatori “in modo più sobrio”, sottolineando le differenze di approccio tra i due Paesi.
Una sfida aperta tra protezionismo e attrazione dei talenti
Le decisioni della Casa Bianca delineano una strategia sempre più protezionista, che punta a chiudere i confini scientifici e a rafforzare il controllo sulle università e sulle attività di ricerca. Ma il rischio è di alimentare una vera e propria fuga di cervelli, con l’Europa pronta ad accogliere i ricercatori in cerca di libertà scientifica e stabilità istituzionale. La battaglia tra chiusura e apertura, tra controllo e innovazione, è appena iniziata. E sul tavolo c’è il futuro della ricerca globale.