
C’è sempre una strana quiete prima di un Conclave. Una sospensione. La Chiesa si ferma, ma sotto la superficie si agitano manovre, voti incrociati, calcoli, speranze. In questo clima di incertezza, Corrado Augias (che di Chiesa si occupa da decenni, con curiosità laica e rispetto critico) ha detto la sua. La previsione, pronunciata dal giornalista nello studio di DiMartedì, suona come un avvertimento.
Secondo Augias, sarà un papa “di compromesso”. Un uomo scelto non per l’audacia della visione, ma per la capacità di tener insieme i pezzi di una Chiesa oggi più che mai frammentata. “Difficilmente potrà continuare l’opera di Francesco”, ha detto. Troppo forte la reazione dei settori conservatori, troppo profonda la spaccatura interna tra chi ha visto in Bergoglio un profeta e chi, invece, un pericoloso innovatore.
Non è una bocciatura, quella di Augias. È una lettura realistica. Spietata, se si vuole, come sa esserlo chi conosce bene le pieghe della Storia. Il prossimo papa — questo è il senso — dovrà essere il risultato di un equilibrio, non l’espressione di una svolta. Il rischio? Che sia un papa “di transizione” non solo per età, ma per visione. Un uomo che gestisce, non che guida. Che media, più che ispirare.

Il Conclave, del resto, si annuncia teso. I gruppi che si fronteggiano non sono più due — progressisti contro conservatori — ma almeno cinque, come raccontava qualche giorno fa un’analisi ben documentata. E tutti vogliono dire la loro. C’è chi punta a un ritorno a una Chiesa più dogmatica e disciplinata, chi vuole un pontefice più “manageriale”, chi spera in una figura carismatica capace di tenere vivo il dialogo con il mondo laico.
Corrado Augias, da parte sua, non fa nomi. Non gioca al toto-papa. Ma evoca con lucidità lo spirito del tempo: un tempo in cui la Chiesa ha bisogno di bussola, ma rischia di accontentarsi di un orologio. In controluce, però, si avverte anche un certo rimpianto per Bergoglio. Non tanto per l’uomo — sebbene la simpatia di Augias per il gesuita argentino sia nota — ma per il tentativo, autentico, di aprire porte che sembravano sigillate da secoli. Papa Francesco ha fatto discutere, a volte ha spiazzato. Ma ha mostrato che la Chiesa può essere anche altro: meno trono e più strada, meno oro e più fango, meno latinorum e più umanità.

Il problema, secondo Augias, è che il Conclave che si apre non pare avere il coraggio di rilanciare quella traiettoria. E così, il prossimo papa potrebbe dover navigare a vista, più che tracciare nuove rotte. Magari parlerà molte lingue, magari sarà simpatico, magari saprà tenere a bada le fazioni. Ma sarà difficile — quasi impossibile — che riesca a essere di nuovo uno spartiacque.
Alla fine, l’impressione è che Augias stia dicendo questo: chi verrà dopo, verrà dopo. Dopo Francesco. Dopo la scommessa. Dopo il sogno di una Chiesa più povera, più vicina agli ultimi, più aperta alla complessità del mondo. E venire dopo, in politica come in religione, è spesso il posto peggiore. Forse, però, anche in un Conclave fatto di compromessi e di trame, può spuntare la sorpresa. È già successo. Ed è proprio questa, dopotutto, la forza di Roma: saper sorprendere anche quando sembra inchiodata alla sua eterna liturgia.