
Uno in tonaca bianca, con zucchetto rosso e trolley al seguito. «Mamma, è il nuovo Papa?» chiede un bambino, accento ciociaro e curiosità da turista. Ma no, è solo Timothy Radcliffe, domenicano inglese con inflessione oxfordiana, che saluta i passanti con un «Bye!» prima di varcare l’ingresso del Petriano, dove una Guardia Svizzera lo riconosce e lo lascia passare con un cenno.
Il Conclave comincia stamattina, ma già ieri pomeriggio si respirava un’aria da “ultimi istanti di libertà” tra i 133 cardinali chiamati ad eleggere il prossimo Papa. C’è chi trascina valigie verso la Domus Sanctae Marthae, chi si concede un ultimo pranzo in solitaria, chi si affida a un barbiere di Borgo Pio per sistemare il taglio (vedi Zuppi). Ogni gesto è scrutinato, ogni dettaglio letto come potenziale segnale. Inutile dirlo: ognuno cerca indizi, anche dove non ce ne sono.
Secondo la Repubblica, la consegna è di arrivare a Santa Marta per tempo: cena nel refettorio interno, niente trattorie, e puntualità assoluta alle ore 20. Niente più social, zero contatti con l’esterno: alle 8 in punto di stamattina, tutti hanno dovuto consegnare telefoni, tablet e laptop, che saranno custoditi sotto chiave fino all’elezione. Anche se non verranno perquisiti, la zona rossa vaticana sarà totalmente schermata, offline per definizione. Addio ai video “casalinghi” del cileno Fernando Chomali – l’ultimo lo mostrava intento a lavarsi la camicia nel lavandino con didascalia motivazionale: «Per arrivare impeccabili al Conclave! Uniti nella preghiera!».
Cosa mangeranno? Mistero quasi più fitto del nome del futuro Papa. Il cardinale Piacenza ha lasciato trapelare solo che «si mangia leggero. Pesce, riso…». C’è chi ha preferito un carciofo alla romana e una birretta in solitaria (come l’arcivescovo di Madrid, José Cobo Cano, avvistato a Campo de’ Fiori), chi invece ieri ha fatto gruppo con i colleghi sudamericani per un tour turistico con sosta al Pantheon e pranzo abbondante. Forse per scaldarsi prima della clausura.
Santa Marta, però, non è un eremo. È un albergo ben attrezzato, gestito dalle suore Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. 105 suite, 26 singole, salotti con sofà, colonne bianche, reception efficiente e un refettorio con tavoli rotondi per favorire dialogo e concentrazione. Niente spartani silenzi monacali, ma certo massima discrezione. E i cardinali, inseguiti da telecamere e cronisti fin dentro piazza San Pietro, hanno chiesto più sorveglianza e controllo. La maggior parte ha scelto di trasferirsi in auto, evitando gli assalti giornalistici e l’inevitabile domanda: «Chi sarà il nuovo Papa?».
Uno dei pochi a non sottrarsi è stato Jean-Paul Vesco, frate domenicano, arcivescovo di Algeri, che ha attraversato la piazza con passo sereno, chiacchierando con i fedeli, distribuendo benedizioni e raccontando – con una certa autoironia – di quando correva le maratone. «Ora non riuscirei più a farne una intera», ha ammesso. Poi ha preso per mano un padre e suo figlio, visibilmente assente e distante da tutto, e ha tracciato sulla fronte del ragazzino il segno della croce. Una benedizione a occhi bassi, quasi sussurrata. E poi via, nel sole, da solo. Come tutti gli altri.