
Pietro Parolin, 69 anni, veneto di Schiavon, già segretario di Stato, è da settimane considerato il principale favorito per succedere a Jorge Mario Bergoglio. In queste ore decisive, si parla di 40-60 voti a suo favore, un margine che, se confermato, lo renderebbe protagonista delle prime fumate. Ma la storia insegna che il favorito, spesso, non diventa Papa. E proprio per questo, in Vaticano, la durata del Conclave è più che un dettaglio.
Più breve sarà la votazione, più concrete saranno le possibilità per Parolin. Ma se il Conclave si dovesse protrarre oltre venerdì o sabato, altri nomi potrebbero prendere quota. Le dinamiche dei Conclavi sfuggono a ogni previsione, eppure ogni dettaglio conta. Un grande amico d’infanzia di Parolin ha svelato un retroscena sul cardinale, dopo aver scambiato qualche messaggio con lui negli ultimi giorni.
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Un messaggio, poi il silenzio: il Conclave chiama “don Piero”
“Tre giorni fa gli ho mandato un messaggio. Ora non risponde più2. Inizia con queste parole, intrise di affetto e un pizzico di malinconia, il racconto di Roberto Apo Ambrosi, cantante, oste e soprattutto amico d’infanzia di Pietro Parolin, il cardinale dato tra i favoriti per la successione a Papa Francesco. Un’amicizia di lunga data, che resiste ai silenzi imposti dalle regole del Conclave, e che oggi si tinge di storia e di attesa.
Ambrosi racconta la loro ultima conversazione con semplicità: “Gli ho detto che non sapevo quale fosse la cosa migliore per lui. Mi ha risposto che neppure lui lo sa, e che è un po’ turbato”. Poi il silenzio, inevitabile. I cardinali, da oggi, non possono più ricevere né inviare messaggi: i loro telefoni restano custoditi a Casa Santa Marta, come ha spiegato il portavoce vaticano Matteo Bruni. L’extra omnes è cominciato. Il mondo guarda alla Cappella Sistina, e dentro quelle mura silenziose, “don Piero” – come ama farsi chiamare – è al centro delle attenzioni del mondo cattolico.
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Parolin favorito al Conclave: il racconto dell’amico che conosce “don Piero” da una vita
Roberto Apo Ambrosi è più di un testimone. È la voce di un’amicizia che resiste alle porpore e alle porcellane del Vaticano. Conosce Parolin dai tempi della scuola, e le sue parole restituiscono un ritratto umano, quasi disarmante, del porporato: “Quando viene a trovarmi a Marostica, gli porto sempre i dolcetti alla marmellata di amarene. Per lui sono una tentazione». Le foto insieme, i pranzi all’osteria “Angelo e Diavolo”, i ricordi di una normalità che oggi sembra lontanissima, sono la cornice intima di un momento storico.
Ambrosi paragona il loro legame a quello cantato da Francesco De Gregori nella celebre Il Bandito e il Campione. “Può andar bene quella canzone”, dice, ma poi cambia idea. Preferisce “La leva calcistica del ’68”, e la canta: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore”. La dedica a lui, al compagno di scuola diventato papabile, con la stessa naturalezza con cui lo chiamava “don Piero” al bar della scuola. “Gliela dedico”, ripete, quasi come se volesse proteggerlo.
In questa cronaca sospesa tra cronaca e poesia, compare anche un’altra icona del nostro passato: Paolo Rossi, il calciatore che nel 1982 fece sognare l’Italia intera. Era un amico di Ambrosi, e anche lui ha vissuto da vicino un momento chiave nella carriera ecclesiastica di Parolin: la sua nomina a cardinale, celebrata nella Basilica di San Pietro. “Eravamo lì, io e Paolo. Molti cardinali, vedendolo, si sono avvicinati per raccontare dove si trovavano durante la finale dell’82”, ricorda l’oste-cantante.
Un momento sospeso tra sacro e profano, come tanti nei riti del Vaticano, in cui il popolo dei santi si mescola a quello degli eroi dello sport. Ma il diretto interessato? “Don Piero non è un grande tifoso”, ammette Ambrosi con un sorriso. Però, a scuola, eccelleva in tutt’altro: italiano, storia, filosofia. “In ginnastica no, ma nei temi brillava”, dice, e pare già un indizio. Come se la vocazione al pensiero, alla parola e alla riflessione fosse già scritta allora.

L’augurio dell’amico: “Che la vita ci ritrovi uguali”
Quando il silenzio del Conclave sarà finito, Apo Ambrosi potrà forse tornare a scrivere al suo amico. Ma oggi no. Il messaggio che invia è tutto nelle parole che ci lascia, un po’ come una canzone: “Che il vento sia favorevole. E che la vita ci ritrovi uguali”. Una benedizione laica, sincera, che sa di speranza, ma anche di attesa. L’attesa di un ragazzo che ha visto crescere “don Piero” con lo stesso sguardo che oggi gli dedica il mondo intero.
Il Conclave 2025, per noi cronisti, osservatori, appassionati, può sembrare una partita a scacchi, una danza di equilibri tra correnti e continenti. Ma, per chi vive questo momento con fede, è anche – e soprattutto – un tempo dello Spirito. L’elezione del Papa è qualcosa che avviene nell’interiorità di uomini chiamati a decidere non solo col ragionamento, ma anche con la preghiera. E forse anche per questo, la voce dell’amico, che canta De Gregori e sforna dolcetti, vale più di mille editoriali. Perché ci ricorda che dietro ogni porpora c’è una persona. E dietro ogni Papa, c’è una storia.