
Mentre l’attenzione internazionale è puntata su altri scenari – dalle tensioni USA-Cina alla guerra in Ucraina – India e Pakistan continuano a vivere in una pericolosa instabilità permanente. I due Paesi, entrambi potenze nucleari, non hanno mai superato del tutto il trauma della Partizione del 1947, quando il Pakistan ottenne l’indipendenza il 14 agosto e l’India il giorno successivo. La loro relazione è stata fin da subito segnata da una strategia del confronto, alimentata da retoriche nazionaliste interne che hanno spesso trovato nel nemico esterno un efficace strumento di coesione politica e sociale.
Il nazionalismo come leva interna
India e Pakistan usano da decenni il conflitto reciproco come leva interna: quando la leadership di uno dei due Paesi si indebolisce, l’accento sul nemico esterno torna con forza a infiammare l’opinione pubblica. Questo schema ha contribuito a tenere acceso un focolaio permanente di ostilità, mai risolto attraverso mediazioni internazionali.
A testimoniare la profondità della frattura culturale e simbolica, basta osservare il rituale quotidiano della cerimonia di ammaina bandiera al confine di Wagah-Attari, al termine della quale i soldati di entrambi i Paesi danno vita a uno spettacolo muscolare e coreografico, applaudito da migliaia di cittadini in un crescendo emotivo che sfiora la provocazione.
Kashmir, il nodo irrisolto
L’ultima escalation risale al 22 aprile, quando un attentato terroristico ha causato la morte di 26 turisti a Pahalgam, località collinare del Kashmir, regione da decenni epicentro delle tensioni tra i due Paesi. Il territorio, a maggioranza musulmana, è stato oggetto di un ridimensionamento amministrativo da parte del governo indiano guidato da Narendra Modi, che nel 2019 ha revocato lo status speciale dello Stato, sostituendolo con una gestione diretta da parte del governo centrale.
Una parte del Kashmir è inoltre contesa con il Pakistan, che ne controlla una porzione che New Delhi considera “occupata”. In passato, episodi simili a quello del 22 aprile hanno innescato gravi crisi diplomatiche e militari. È ancora vivo il ricordo del 2019, quando l’uccisione di 40 soldati indiani da parte di un kamikaze in Kashmir portò a un attacco aereo indiano sul territorio pakistano, con conseguente abbattimento di un jet da parte di Islamabad.
Modi promette vendetta, ma finora non agisce
A pochi giorni dall’attacco, Modi ha promesso di dare la caccia ai terroristi e ai loro finanziatori, con dichiarazioni forti che ricordano i toni usati proprio nel 2019:
«Daremo loro la caccia fino ai confini del mondo. Lo spirito dell’India non sarà mai spezzato dal terrorismo.»
Finora, però, non si è registrata una risposta militare diretta, anche se numerosi analisti ipotizzano che una rappresaglia sia in fase di preparazione, forse con modalità meno eclatanti rispetto al passato, ma non per questo meno rischiose.
La minaccia di escalation è reale
La situazione resta estremamente tesa. Entrambi i Paesi sono in stato di massima allerta. Le dichiarazioni bellicose e le pressioni interne rendono altamente probabile una nuova reazione indiana dopo gli attacchi missilistici di ieri su tre città del Punjab pachistano , che potrebbe a sua volta scatenare una controffensiva di Islamabad, con conseguenze potenzialmente devastanti.
Il nazionalismo è in forte fibrillazione su entrambi i fronti e il rischio di errori di calcolo o di escalation accidentale è altissimo. In questo contesto, la disattenzione della comunità internazionale – oggi concentrata su altri fronti – potrebbe contribuire a lasciare mano libera a iniziative unilaterali dalle conseguenze imprevedibili.

Un fronte da non ignorare
Il Kashmir torna a essere uno dei punti di crisi più pericolosi al mondo, e gli analisti avvertono: le condizioni non sono favorevoli a una distensione. Le politiche di controllo adottate da New Delhi negli ultimi anni hanno alimentato una crescente alienazione della popolazione locale, e l’attacco del 22 aprile ha riacceso la spirale delle recriminazioni.
Una nuova crisi tra India e Pakistan, nel cuore del subcontinente indiano, non sarebbe un conflitto regionale: sarebbe una minaccia globale.