
Un caso di violenza sessuale aggravata e atti persecutori ha scosso l’ospedale di Piacenza. La vicenda, emersa dopo la denuncia di una dottoressa, ha portato all’arresto del primario di Radiologia, Emanuele Michieletti, 60 anni. Secondo quanto ricostruito dalla Procura, l’uomo avrebbe aggredito sessualmente una collega all’interno del suo studio, dopo aver chiuso a chiave la porta. A interrompere la violenza è stato l’arrivo fortuito di un altro medico che ha bussato alla porta.
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La vittima, profondamente scossa, ha subito informato la direzione dell’Ausl emiliana, che ha raccolto il racconto della donna e lo ha trasmesso alla magistratura. La denuncia è finita sul tavolo della procuratrice Grazia Pradella e ha dato il via a un’indagine della squadra mobile, coordinata da Michele Saglio.

Violenza sistematica documentata dalle telecamere
Le indagini hanno rivelato uno scenario inquietante. Gli investigatori hanno piazzato telecamere nascoste nello studio del primario e intercettato la sua utenza telefonica. In soli 45 giorni, sono stati registrati 32 episodi di violenza. I comportamenti di Michieletti non sarebbero stati isolati o occasionali, ma parte di un sistema predatorio sistematico, portato avanti con estrema disinvoltura.
Il materiale raccolto dalle forze dell’ordine parla di richieste sessuali esplicite, coercizioni psicologiche e gesti fisici spinti, che avrebbero coinvolto dottoresse e infermiere del reparto. Gli investigatori sottolineano come le vittime, spesso in una condizione di vulnerabilità lavorativa, abbiano ceduto alle richieste del primario in un clima di forte soggezione e timore.
Un clima di omertà e paura nel reparto
Oltre alle violenze fisiche, l’indagine ha messo in luce un aspetto altrettanto allarmante: il clima di omertà che regnava nel reparto. Secondo gli inquirenti, le condotte del primario erano note da tempo e in alcuni casi sarebbero state persino oggetto di vanto da parte dell’uomo nei confronti di colleghi uomini, che avrebbero addirittura offerto consigli su come comportarsi.
In questo contesto, una seconda dottoressa aveva presentato una denuncia, per poi ritirarla poche ore dopo, sopraffatta dalla paura di ripercussioni professionali. Le carte giudiziarie parlano chiaramente di un ambiente «gravemente autoreferenziale» dove il medico, noto in città anche per la sua visibilità sui media locali, esercitava un potere percepito come intoccabile.
Le accuse di stalking e le conseguenze per l’azienda sanitaria
A carico di Michieletti sono emersi anche episodi configurabili come stalking. In almeno due casi, il medico avrebbe molestato ripetutamente alcune colleghe, arrivando a convocarle nel suo studio anche tramite l’altoparlante dell’ospedale, creando un forte disagio emotivo e un senso costante di minaccia. Le vittime, secondo la Procura, erano turbate e «costrette a subire» le sue attenzioni con la paura di essere penalizzate in caso di rifiuto.
L’Ausl di Piacenza sta ora valutando le azioni legali da intraprendere e non esclude la costituzione di parte civile nel processo. Sul caso sono intervenute anche le associazioni professionali. Ester Pasetti, dell’Anaao regionale, ha sottolineato come «le donne siano spesso in posizione di inferiorità, anche in ambiti professionali in cui rappresentano la maggioranza». Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, ha invece lanciato un appello a non avere paura di denunciare.
Il caso Michieletti apre uno squarcio su un fenomeno che, secondo le associazioni di categoria, non è purtroppo isolato e che richiede una profonda riflessione sull’ambiente lavorativo all’interno delle strutture sanitarie pubbliche.