
Certe coincidenze sembrano scritte più in cielo che nei manuali di storia. O forse, chissà, suggerite da qualche soffio di Spirito. Guardando il volto del nuovo Papa, Leone XIV — al secolo Robert Francis Prevost — non si può non restare colpiti dalla somiglianza quasi commovente con Leone XIII, il grande pontefice della modernità sociale, autore della Rerum novarum. Stessa linea sottile del volto, stesso sguardo quieto ma penetrante, lo stesso sorriso appena accennato, quasi a contenere la gravità di un compito immenso con la grazia dell’umiltà.
È solo una suggestione? Forse. Ma nella Chiesa, nulla è davvero solo “casuale”. E se la scelta del nome Leone non fosse legata unicamente a ragioni storiche o spirituali? Se, nel suo profondo, il nuovo Papa avesse voluto richiamare anche visivamente — nel volto come nello stile — un’epoca di riforme intelligenti, di aperture sociali, di attenzione al mondo operaio e agli ultimi della terra?


Un confronto sorprendente: a sinistra, Papa Leone XIV (Robert Francis Prevost); a destra, Papa Leone XIII, eletto nel 1878.
Leone XIII e Leone XIV: ieri e oggi
Leone XIII fu il pontefice che per primo capì che la Chiesa non poteva restare arroccata, ma doveva dialogare con il mondo moderno. Il suo magistero sociale ha segnato una svolta epocale, ponendo al centro della riflessione teologica le condizioni di vita del popolo, le ingiustizie del capitalismo selvaggio, i diritti dei lavoratori. E lo fece con equilibrio, mai contro qualcuno, ma sempre in favore di chi non aveva voce.
Oggi Leone XIV si affaccia su una stagione altrettanto difficile: il post-Francesco è un tempo che ha bisogno di continuità e discernimento, di diplomazia e coraggio. Una stagione in cui si dovrà tenere insieme la fedeltà al Vangelo e l’apertura a un mondo che cambia velocemente, senza perdersi né irrigidirsi. E forse anche di simboli, capaci di parlare con forza anche ai cuori più distanti.
Quel volto antico, ritornato oggi con tratti sorprendentemente simili, può essere il primo segno che la Chiesa guarda avanti portando con sé le radici più profonde del suo impegno per la giustizia, la pace e la dignità umana. Una somiglianza che va oltre l’anatomia: è una dichiarazione d’intenti, un richiamo alla memoria per costruire futuro.