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Papa Leone XIV, perché il cardinale Robert Francis Prevost ha scelto questo nome

Pubblicato: 08/05/2025 20:07

Ha salutato il mondo con parole semplici«La pace sia con voi». Ma dietro quel tono mite e il volto pacato si nasconde un’esperienza pastorale che ha attraversato continenti, sfide e comunità. Robert Francis Prevost, da oggi Papa Leone XIV, è il nuovo volto della Chiesa universale. Statunitense di origine, ma latinoamericano d’adozione e romano per vocazione, incarna una figura che unisce concretezza e spiritualità, radici e futuro. Il Conclave lo ha scelto rapidamente, con quattro scrutini appena. Un segnale forte: serviva un pontefice capace di tenere insieme sensibilità diverse, in un tempo di tensioni interne e mutamenti epocali. E Prevost, 69 anni, sembra rispondere perfettamente a questa esigenza.

Religioso agostiniano fin dall’età di 21 anni, è nato a Chicago nel 1955. Ma la sua Chiesa è da sempre più larga della patria: ha vissuto molti anni in Perù come missionario, diventando poi vescovo di Chiclayo, in una delle regioni più povere del paese. Di quel tempo, nella sua prima apparizione pubblica, ha parlato con emozione: in spagnolo, la sua seconda lingua, ha ricordato «la gioia di vivere tra la gente, ascoltando i loro dolori e speranze». Non è un papa di curia, anche se la curia l’ha conosciuta da vicino. Dopo aver guidato per dodici anni l’Ordine agostiniano a livello mondiale, Papa Francesco lo ha voluto a Roma, prima come membro, poi come Prefetto del Dicastero per i Vescovi: un ruolo cruciale, quello che decide la nomina dei pastori in tutto il mondo. Lì Prevost ha mostrato il suo stile: ascolto, discernimento, attenzione alle periferie. Ha selezionato vescovi capaci non solo di guidare, ma anche di camminare insieme al popolo.

Chi lo conosce lo descrive come un uomo di comunione, con un raro equilibrio tra rigore ecclesiale e apertura sincera. Ha un tratto gentile, uno sguardo calmo, ma è tutt’altro che remissivo: è stato spesso in prima linea nel difendere la sinodalità, la povertà evangelica, la responsabilità condivisa. Non è un “progressista” in senso ideologico, né un conservatore di ritorno. È un ponte. E forse, proprio per questo, è stato designato. Il nome che ha scelto, Leone XIV, richiama una figura storica forte: Leone XIII, il “Papa dei lavoratori”, autore della Rerum Novarum. Ma se allora la sfida era l’industrializzazione, oggi lo scenario è globale: guerre, diseguaglianze, crisi ambientale, secolarizzazione. Papa Prevost eredita queste urgenze con una visione pastorale concreta, nutrita da una spiritualità agostiniana che pone la carità al centro: “Ama e fa’ ciò che vuoi”, diceva sant’Agostino. Un messaggio che oggi suona più attuale che mai.

Di fronte a un mondo diviso, questo Papa arrivato dal Perù e da Chicago, dalle comunità di base e dai corridoi vaticani, sembra voler dire che la Chiesa non deve scegliere tra dottrina e compassione, tra regola e ascolto. Deve, piuttosto, tenerle insieme. E non a caso, il suo primo invito è stato proprio questo: camminare insieme con gioia e fermezza. Con tredici predecessori, Leone XIV si inserisce in una stirpe di papi che hanno attraversato i secoli lasciando orme profonde nella storia della Chiesa e dell’Europa. Il suo nome non è una scelta neutra, né soltanto un omaggio al passato. È un segnale. Un richiamo a una linea dinastica che ha saputo affrontare invasioni barbariche e rivoluzioni sociali, scismi e restaurazioni, riforme e rinascite spirituali.

Il primo fu Leone I, detto “il Magno”, il papa che nel V secolo fermò Attila alle porte di Roma armato solo della forza della parola e di una diplomazia destinata a fare scuola per secoli. Un pontefice capace di incarnare l’idea stessa di guida spirituale e politica. Dopo di lui, altri Leone hanno interpretato il ruolo con sfumature diverse: Leone III, ad esempio, fu il papa che nel Natale dell’800 incoronò Carlo Magno, dando vita al Sacro Romano Impero. Quel gesto, tanto solenne quanto strategico, ridisegnò il rapporto tra potere religioso e temporale.

Altri furono più brevi e tormentati: Leone V e VI, figure quasi evanescenti, travolte dal caos del Medioevo e da lotte intestine che segnarono l’epoca della cosiddetta “pornocrazia”, quando la cronaca papale si tingeva più di scandali che di spiritualità. Ma ci furono anche riformatori silenziosi come Leone VII, o difensori concreti della città eterna come Leone IV, che fece erigere le Mura Leonine attorno al Vaticano. Il nome di Leone attraversa anche le grandi fratture della cristianità: Leone IX fu protagonista, suo malgrado, dello scisma del 1054 con l’Oriente cristiano. E Leone X, raffinato mecenate e Medici di sangue, fu il papa che scomunicò Martin Lutero, dando inizio al terremoto della Riforma protestante. Famosa la sua frase, cinica e tagliente: “Dio ci ha dato il papato, godiamocelo”. Poi arrivò il già citato Leone XIII, il pontefice della modernità. Papa per venticinque anni, che entrò nella storia con il primo testo sociale della Chiesa. Morì a 93 anni, lasciando in eredità non solo scritti ma anche le prime immagini in movimento di un pontefice. Era l’alba della comunicazione globale.

Ora tocca a lui: Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost. Conosce il volto della Chiesa che vive nelle periferie del mondo, ma porta sulle spalle una corona simbolica fatta di diplomazia, dottrina e coraggio. Non si sa ancora in quale direzione guiderà la barca di Pietro. Ma con quel nome, il nuovo pontefice ha già srotolato una mappa. Non per inseguire la gloria dei predecessori, ma per ricordare al mondo che, quando la Chiesa ha avuto bisogno di figure sapienti, spesso ha scelto un Leone.

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Ultimo Aggiornamento: 08/05/2025 20:27

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