
Il Tribunale di Torino ha condannato la giornalista Selvaggia Lucarelli a risarcire 65.000 euro allo psicologo Claudio Foti per averlo diffamato in cinque articoli pubblicati sul quotidiano Il Fatto Quotidiano tra il luglio 2019 e l’ottobre 2020, nel contesto della vicenda nota come caso Bibbiano. Alla condanna pecuniaria si aggiunge una sanzione di 15.000 euro, decisa dalla giudice Claudia Gemelli, che ha ritenuto quegli scritti gravemente lesivi della reputazione del professionista, poi assolto dalle accuse nell’ambito dell’inchiesta.
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Per altri tre articoli oggetto della causa, invece, il tribunale non ha riscontrato contenuti diffamatori. La sentenza, depositata il 2 maggio, riconosce però la sussistenza di una “volontà pervicace” di ledere l’immagine di Foti nei cinque testi contestati.
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Frasi costruite per screditare e impressionare
Secondo quanto riportato nel provvedimento, in alcuni passaggi Lucarelli avrebbe utilizzato fatti veri per associarli in modo suggestivo all’attività di Foti, lasciando intendere una sua responsabilità per episodi drammatici a cui era del tutto estraneo. «Le frasi – si legge – sono costruite volutamente al fine di screditare l’attore associandolo ai tristi epiloghi di suicidio», con riferimento a due casi distinti: quello di un padre assolto e quello della famiglia Ferraro, suicidatasi a Biella durante un processo per accuse di pedofilia.
Il tribunale ha rilevato l’uso di “una modalità di scrittura volutamente suggestiva e idonea a impressionare il lettore”, sottolineando come non vi sia alcun nesso dimostrato tra quei fatti e l’operato dello psicologo. Inoltre, un terzo articolo è stato criticato per un tono “ridicolizzante e spettacolarizzante”, giudicato privo di giustificazione giornalistica.
Foti diffamato con accuse mai dimostrate
La tesi dell’avvocato Luca Bauccio, legale di Claudio Foti, è stata accolta integralmente. Secondo la difesa, gli articoli hanno fornito al pubblico “la rappresentazione dello psicologo quale colpevole di fatti di cui è del tutto estraneo”, con un effetto devastante sulla sua immagine. «L’informazione non può trasformarsi in gogna», ha commentato Bauccio. «Il diritto di critica non può diventare pretesto per perseguitare chi è solo un indagato, ossia un presunto innocente».
L’avvocato ha definito la sentenza “un atto di giustizia e una conquista di civiltà”, accusando Lucarelli e, indirettamente, anche il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, di aver montato un processo mediatico privo di fondamento. Il tribunale ha infatti rilevato come l’autrice abbia attribuito a Foti “responsabilità senza fondamento addirittura per suicidi di imputati”, senza verifiche e senza che tali legami fossero mai dimostrati.

Il caso Bibbiano e la responsabilità dell’informazione
La vicenda si inserisce nel contesto delle polemiche intorno al cosiddetto caso Bibbiano, una delle più controverse inchieste italiane degli ultimi anni, che ha visto coinvolti assistenti sociali, psicologi e amministratori pubblici in un’indagine su presunti affidi illeciti di minori. Anche in quel contesto, Claudio Foti è stato al centro dell’attenzione mediatica, ma la giustizia ha infine sancito la sua non colpevolezza.
Bauccio ha denunciato un “accanimento mediatico” basato su una narrazione costruita ad arte per scopi di notorietà e visibilità, parlando di “speculazioni che nulla avevano a che fare con la tutela dei minori”. L’avvocato ha chiesto che Lucarelli “chieda scusa” per quella che definisce una “spietata gogna”, criticando il fatto che certi influencer abbiano accesso a spazi editoriali rilevanti senza che ci sia un adeguato controllo delle fonti.
La responsabilità del giornalismo
La sentenza di Torino riapre il dibattito sulla responsabilità del giornalismo e sul confine tra diritto di cronaca e diffamazione, soprattutto quando si tratta di soggetti coinvolti in indagini giudiziarie. Il caso sottolinea l’importanza della verifica delle informazioni e dell’aderenza alla verità processuale, specialmente in casi che toccano la vita privata e la reputazione professionale di persone non condannate.
Per Claudio Foti, la decisione rappresenta una tappa importante nel percorso di riabilitazione pubblica, mentre per il mondo dell’informazione si tratta di un monito: il diritto di raccontare non può trasformarsi in un’arma per distruggere l’onore altrui, né tantomeno in uno strumento per orientare l’opinione pubblica attraverso insinuazioni non provate.