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“Ho ucciso mio padre per difendere la mamma”. Dopo la tragedia è arrivata la sentenza

Pubblicato: 09/05/2025 10:30

Si è concluso con una sentenza di condanna il processo a Makka Sulaev, la diciannovenne studentessa accusata dell’omicidio del padre. Il tribunale di primo grado ha inflitto alla giovane una pena di nove anni e quattro mesi di reclusione, superando la richiesta del pubblico ministero, che si era attestato su sette anni. I giudici hanno escluso l’aggravante della premeditazione, ma hanno riconosciuto le attenuanti generiche.

Parallelamente alla sentenza, è stata revocata la misura degli arresti domiciliari cui era sottoposta la ragazza. Ora, Makka Sulaev dovrà presentarsi quotidianamente presso la caserma dei Carabinieri del comune piemontese, ad eccezione dei fine settimana.

Il drammatico episodio risale al primo marzo 2024, quando, all’interno dell’abitazione familiare, la giovane sferrò due coltellate al padre, Akhyad Sulaev. Un gesto estremo che la difesa ha sempre descritto come un disperato tentativo di proteggere la madre dalle reiterate e violente aggressioni domestiche.

Secondo la ricostruzione difensiva, l’uomo avrebbe precedentemente minacciato gravemente le due donne, arrivando persino a tentare di strangolare la moglie in cucina. L’intervento di Makka avrebbe innescato la furiosa reazione del padre, che avrebbe iniziato a colpire entrambe con violenza in diverse stanze della casa e in momenti successivi.

Il primo fendente, quello fatale, sarebbe stato sferrato in risposta immediata all’aggressione paterna. La seconda coltellata, considerata dalla procura come un segno di volontà omicida, è stata invece interpretata dalla difesa come un ulteriore tentativo di fermare un uomo ancora lucido e violento, nonostante la ferita subita. La difesa ha sottolineato come l’uomo, di corporatura imponente, con un passato da istruttore di lotta e una formazione militare, rappresentasse ancora un grave pericolo per tutti i presenti: due donne di esile costituzione, tre bambini e una maestra visibilmente spaventata. A riprova di ciò, è stato ricordato come, pur gravemente ferito, l’uomo avesse bloccato la porta d’ingresso per impedire a chiunque di uscire dall’appartamento.

L’avvocato Massimiliano Sfolcini, legale di Makka Sulaev, aveva sostenuto con forza la tesi della legittima difesa, affermando che la sua assistita non avesse avuto alternative. L’avvocato aveva inoltre evidenziato come la giovane temesse un’ulteriore escalation di violenza, citando un messaggio della madre che le chiedeva di prendersi cura dei bambini nel caso le fosse accaduto qualcosa, e un sinistro annuncio del padre di voler fare un “concerto” – termine che, in lingua cecena, evoca eventi drammatici di grande risonanza.

Nonostante le argomentazioni della difesa, la corte non ha accolto la richiesta di assoluzione piena. La sentenza ha quindi sorpreso l’avvocato Sfolcini, che aveva confidato in un esito diverso del processo.

Nella sua requisitoria, il pubblico ministero Andrea Trucano aveva riconosciuto la complessità emotiva e morale del caso, definendo apertamente il dramma vissuto dalla giovane imputata. “Non è stato facile svolgere questo ruolo”, aveva dichiarato il magistrato, “ho parlato con molte persone, ho ascoltato punti di vista diversi, mi sono interrogato a lungo sul significato della giustizia. Ma alla fine, non posso che ritenerla responsabile dell’omicidio”.

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Ultimo Aggiornamento: 09/05/2025 11:19

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