
È iniziato tutto il 22 aprile, tra i paesaggi spettacolari del Kashmir, terra contesa da decenni. Un gruppo di terroristi ha fatto irruzione a Pahalgam, nella regione indiana del Jammu e Kashmir, prendendo di mira un pullman di turisti hindu. La carneficina è stata tremenda: 26 morti e tensioni alle stelle.
A rivendicare la strage è stato il Fronte della Resistenza, gruppo terroristico islamico affiliato alla formazione pakistana Lashkar-e-Taiba, già responsabile in passato di numerosi attentati contro civili indiani.
La risposta di Nuova Delhi: “Operazione Sindoor” e allerta massima
Immediata e durissima la reazione del premier Narendra Modi, che ha dichiarato: “L’allerta è massima“. Il governo indiano ha identificato tre sospetti, ipotizzando un coinvolgimento dell’esercito pakistano, e ha reagito su più fronti: sospeso il Trattato sulle acque dell’Indo, cardine dell’agricoltura di entrambi i Paesi fin dal 1960, e avviato l’operazione militare “Sindoor”.
Secondo fonti indiane, la reazione militare dopo l’attentato da parte dell’india è stata forte: sono stati colpiti 9 siti terroristici lungo la Linea di Controllo. Intanto, il Kashmir torna a essere un campo di battaglia: si contano già migliaia di sfollati, soprattutto nelle aree rurali di confine.

La replica di Islamabad: “Risponderemo. Abbattuti 25 droni israeliani”
Il governo pakistano ha accusato l’India di violazioni territoriali e ha promesso una risposta adeguata. In un comunicato ufficiale, l’esercito ha dichiarato di aver abbattuto 25 droni di fabbricazione israeliana, usati – secondo Islamabad – per la ricognizione nelle aree sensibili.
Sono stati chiusi diversi aeroporti militari, mentre in un clima ai limiti della rottura totale si intensificano i contatti tra i consiglieri per la sicurezza nazionale dei due Paesi. Il timore diffuso è che, stavolta, lo scontro possa non fermarsi alle scaramucce di confine, ma esplodere in conflitto totale.
Un conflitto che preoccupa il mondo
La crisi ha già allertato le potenze internazionali. La Cina, storicamente vicina al Pakistan, osserva con attenzione, mentre gli Stati Uniti sembrano voler mantenere una posizione defilata. Il vicepresidente JD Vance, in un’intervista a Fox News, ha detto chiaramente: “Il conflitto indo-pakistano non è affare nostro“.
Parole che hanno suscitato stupore, considerato il sostegno diplomatico che Washington ha spesso garantito all’India. Ma è logico che Trump non voglia aprire un ulteriore conflitto con la Cina se non sarà assolutamente necessario.

In un clima sempre più infuocato, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha offerto la disponibilità dell’Italia a svolgere un ruolo di mediazione: “La situazione è gravissima, la comunità internazionale non può rimanere in silenzio. Siamo pronti a favorire il dialogo, prima che sia troppo tardi“.
Il Kashmir conteso da decenni
Il Kashmir, diviso dal 1947 dopo la spartizione dell’India britannica, ha già fatto da teatro a quattro guerre tra i due Stati rivali. India e Pakistan sono entrambi dotati di armamenti nucleari e l’escalation potrebbe degenerare in modo rapido e devastante.
Oltretutto, nessuno avrebbe un controllo completo della situazione se davvero una delle due potenze dovesse decidere di utilizzare armi atomiche. Il mondo guarda preoccupato, nella speranza che la diplomazia possa impedire lo scoppio di un nuovo conflitto che peggiorerebbe ulteriormente la situazione geopolitica globale.