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Strage di Suviana, nessun risarcimento alla compagna di Alessandro D’Andrea e solo 11mila euro ai genitori: “Ingiusto”

Pubblicato: 09/05/2025 13:23
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È passato più di un anno dalla tragica esplosione nella centrale idroelettrica di Suviana, in cui persero la vita sette persone. Tra loro c’era Alessandro D’Andrea, tecnico specializzato di 37 anni, originario di Forcoli, in provincia di Pisa. Alessandro aveva lasciato la sua terra natale tre anni prima per trasferirsi in Lombardia con la compagna, Sara Bianco, con cui condivideva un progetto di vita che includeva il matrimonio e la ristrutturazione della loro casa. Un sogno spezzato in un istante.
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La tragedia ha lasciato segni profondi nei cuori dei familiari, ma anche nelle pieghe di una giustizia che stenta a riconoscere il valore della vita spezzata. L’Inail ha infatti riconosciuto un risarcimento di appena 11mila euro ai genitori della vittima, escludendo completamente Sara e le sorelle di Alessandro.

Il dolore di chi resta e una legge ferma al 1965

Sara Bianco, la compagna di Alessandro, ha affidato le sue parole al Corriere della Sera per esprimere il suo dolore e la frustrazione: «È ingiusto nei confronti di Alessandro ed è ingiusto per chi resta; è come se non venisse riconosciuto come significativo il suo contributo lavorativo, il suo impegno, il suo volersi sempre migliorare». Una ferita doppia, perché al lutto si aggiunge l’esclusione dal riconoscimento istituzionale, dovuta al fatto che la coppia non fosse formalmente sposata. Una decisione fondata su una norma del 1965, che ignora completamente la realtà delle famiglie di fatto.

Il sentimento di spaesamento e delusione è profondo: «Siamo rimasti un po’ basiti e senza parole, perché è un riconoscimento insignificante. Non solo per noi, ma soprattutto per Alessandro», ha detto ancora Sara. Le sorelle della vittima, escluse perché non più conviventi con lui, vivono lo stesso senso di ingiustizia.

La battaglia legale e il ricordo di una vita insieme

L’avvocato Gabriele Bordoni, che assiste la famiglia D’Andrea, ha annunciato ricorso contro le decisioni dell’Inail, sostenendo che si tratti di provvedimenti ispirati a «criteri familiari appartenenti al passato». Secondo il legale, definire la relazione tra Alessandro e Sara irrilevante solo perché non formalizzata con un matrimonio è frutto di una legge vetusta che non tiene conto delle trasformazioni sociali avvenute negli ultimi decenni.

Sara e Alessandro si conoscevano fin da bambini. La loro relazione durava dal 2008 e convivevano dal 2012: «Avevamo la nostra casa, la nostra vita insieme», ha raccontato. Una quotidianità fatta di progetti, sogni e piccoli gesti. Ora, ogni elemento della loro casa è un richiamo costante all’assenza, alla perdita: «Tutto ora riporta alla mente quei giorni, anche gli alberi in fiore del giardino. Ripenso a quando li guardavamo insieme e come sono cambiati dopo, a guardarli senza di lui. Alessandro è sempre qui».

Il valore della vita e la memoria che non si spegne

La vicenda di Alessandro D’Andrea e Sara Bianco è il simbolo di un sistema che non tutela pienamente i legami affettivi al di fuori del matrimonio. Il risarcimento economico non potrà mai restituire una vita, ma il suo significato simbolico è fondamentale per chi resta. In questo caso, il valore riconosciuto al lavoratore deceduto e alla sua famiglia è stato minimo, quasi inesistente. E ciò lascia spazio solo all’amarezza.

Nel frattempo, la famiglia continua ad aspettare risposte su quanto accaduto quel giorno nella centrale. Si poteva evitare la tragedia? Chi doveva vigilare ha fatto tutto il possibile? Le indagini sono ancora in corso, ma per chi ha perso un figlio, un fratello, un compagno, il tempo sembra essersi fermato. Alessandro D’Andrea, oggi, vive nella memoria dei suoi cari. E nel grido di giustizia che, un anno dopo, non ha ancora trovato pieno ascolto.

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