
Perché si chiama Leone XIV: “Come Leone XIII per la rivoluzione industriale, ora tocca a noi affrontare quella dell’intelligenza artificiale”
ROMA – Non è un nome scelto per caso né per tradizione. Non è un omaggio al passato, ma un’indicazione precisa per il futuro. Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, ha spiegato con chiarezza le ragioni della sua scelta nel primo discorso ai cardinali, svelando la direzione del nuovo pontificato: “Ho pensato di prendere il nome di Leone XIV principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale. E oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro.”
Questa dichiarazione arriva alla fine di un discorso ampio, articolato, scandito da riferimenti alla tradizione, ma segnato da un’urgenza moderna. Il Papa ha voluto fin da subito parlare del proprio limite, ricordando ai cardinali: “Voi, cari Cardinali, siete i più stretti collaboratori del Papa, e ciò mi è di grande conforto nell’accettare un giogo chiaramente di gran lunga superiore alle mie forze, come a quelle di chiunque.” Un passaggio di forte umiltà, seguito dalla consapevolezza che “il Signore, che mi ha affidato questa missione, non mi lascia solo nel portarne la responsabilità.”
Una missione accolta nella luce della Pasqua
L’incontro, iniziato con una preghiera in latino, ha alternato il tono grave del lutto per la scomparsa di papa Francesco alla luce pasquale di un nuovo inizio. Il Papa ha detto di voler leggere anche il dolore della perdita come un passaggio spirituale: “Vorrei che guardassimo assieme alla dipartita del compianto Santo Padre Francesco e al Conclave come a un evento pasquale, una tappa del lungo esodo attraverso cui il Signore continua a guidarci verso la pienezza della vita.” E ha definito Francesco “un umile servitore di Dio e dei fratelli”, elogiandone “lo stile di piena dedizione nel servizio e sobria essenzialità nella vita, di abbandono in Dio nel tempo della missione e di serena fiducia nel momento del ritorno alla Casa del Padre.”
Non sono mancate parole sulla funzione del Papa come ascoltatore. “A noi spetta farci docili ascoltatori della sua voce”, ha detto riferendosi al Signore, “ricordando che Dio ama comunicarsi, più che nel fragore del tuono e del terremoto, nel sussurro di una brezza leggera.” E ha chiesto che tutto il Popolo di Dio venga accompagnato “a questo incontro importante, da non perdere”.
Concilio, sinodalità, missione: la continuità di Francesco
Una parte significativa dell’intervento ha riguardato la forma stessa della Chiesa e il suo orientamento: “Rinnoviamo la nostra piena adesione alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II.” Richiamando l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, il Papa ha ricordato l’importanza del ritorno “al primato di Cristo nell’annuncio”, della “conversione missionaria di tutta la comunità cristiana”, della “crescita nella collegialità e nella sinodalità”, del “dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo.”
Ha definito questi elementi “principi del Vangelo” e “valori attraverso i quali il volto misericordioso del Padre si è rivelato nel Figlio fatto uomo”, speranza di chi cerca verità, giustizia, pace e fraternità. Lungo tutto il discorso, si è percepita una chiara volontà di radicarsi nel magistero sociale recente, rilanciandolo in chiave contemporanea.
La scelta del nome e la sfida dell’IA
A questo punto è arrivata la spiegazione più attesa: perché “Leone”? Il Papa ha detto di averlo scelto “proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia”, e ha ribadito che la Chiesa deve “rispondere alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale” come Leone XIII rispose a quella industriale. Non una suggestione, ma un programma sociale, etico e umano.
“Diverse sono le ragioni, però principalmente quella”, ha insistito. Il riferimento a giustizia, dignità, lavoro come nuovi terreni di sfida morale mostra come Leone XIV voglia intercettare le trasformazioni in atto senza cedere alla paura, ma con discernimento attivo e carità intellettuale.
Una fiamma di fede per accendere il mondo
Nel finale, Leone XIV ha voluto congedarsi con le parole di san Paolo VI: “Passi su tutto il mondo come una grande fiamma di fede e di amore che accenda tutti gli uomini di buona volontà, ne rischiari le vie della collaborazione reciproca, e attiri sull’umanità, ancora e sempre, l’abbondanza delle divine compiacenze, la forza stessa di Dio, senza l’aiuto del Quale, nulla è valido, nulla è santo.” Poi ha concluso: “Siano questi anche i nostri sentimenti, da tradurre in preghiera e impegno, con l’aiuto del Signore. Grazie.”
E in quell’ultima parola, grazie, è racchiusa una visione: non di dominio, ma di servizio. Non di nostalgia, ma di slancio. Un pontificato che guarda all’umano non come problema, ma come mistero da custodire, proprio nel tempo delle macchine.