
Nel turbolento equilibrio internazionale, dove la guerra e la diplomazia si intrecciano ogni giorno, anche gli accordi economici diventano campo di battaglia. Non solo sul piano militare, ma su quello delle risorse e dei diritti sovrani. In un contesto in cui le pressioni esterne si moltiplicano, i governi sono spesso costretti a scegliere tra sopravvivenza e indipendenza.
In questo scenario si inserisce una vicenda che ha fatto discutere nelle ultime ore, e che coinvolge da vicino i rapporti tra Ucraina e Stati Uniti. Un accordo economico, apparentemente destinato a rafforzare la cooperazione tra i due Paesi, ha invece sollevato più di un sospetto tra i deputati del parlamento ucraino. E perfino il presidente Volodymyr Zelensky, finora in prima linea nel rafforzare l’asse con Washington, si è trovato spiazzato.
Accordo sui minerali: la Rada mette dei paletti
Tutto è iniziato con la firma di un memorandum tra il segretario al Tesoro americano Scott Bessent e la vicepremier ucraina Yulia Svyrydenko. L’intesa riguarda la creazione di una holding congiunta per l’estrazione e l’investimento nel settore minerario in Ucraina, uno dei più ricchi d’Europa. Al memorandum, già reso pubblico, si sarebbero affiancati altri due accordi rimasti segreti.
Secondo alcune ricostruzioni, solo grazie a compromessi riservati è stato possibile superare le tensioni tra le due delegazioni. E mentre la Verkhovna Rada ha ratificato l’accordo ufficiale quasi all’unanimità, ha anche inserito una clausola di salvaguardia: qualsiasi ulteriore intesa non dovrà superare quanto già stabilito e non potrà creare obblighi giuridici aggiuntivi per l’Ucraina.
Accordi discutibili e benefici sbilanciati
Nel testo pubblico sono emersi passaggi che lasciano spazio a interpretazioni critiche. Le società americane avranno diritto a generare reddito nel Paese senza essere soggette a imposte. Inoltre, ogni forma di aiuto militare da parte degli Stati Uniti sarà considerata come un aumento di capitale nella holding, spostando gradualmente il peso decisionale a favore di Washington.
In realtà, gli ucraini avrebbero almeno due motivi per aver firmato: da un lato, consolidare l’interesse strategico americano nel Paese, dall’altro, sottrarre il controllo dei giacimenti a oligarchi come Dmytro Firtash, storico dominatore del settore e oggi in disgrazia. Tuttavia, il rischio è che a sostituire i vecchi potentati locali siano nuovi magnati d’oltreoceano, forse legati agli ambienti vicini a Donald Trump. Un passaggio di potere non privo di conseguenze per l’autonomia del Paese.