
Una frase breve, glaciale, come se fosse normale. Ma non lo è. Volodymyr Zelensky ha appena pronunciato le parole più inattese dall’inizio della guerra: “Incontrerò Putin in Turchia giovedì”. Nessuna premessa, nessuna dichiarazione preparatoria. Solo una bomba politica, diplomatica e storica.
Un incontro diretto tra i due leader – il presidente dell’Ucraina e quello della Russia – non avviene dal 2022, quando l’invasione su vasta scala fece precipitare ogni possibilità di dialogo. La frase è bastata per far saltare le agenzie, bloccare le dirette e trasformare il silenzio della diplomazia in un’esplosione mediatica.
“Aspetterò Putin. Personalmente”

Zelensky ha accompagnato l’annuncio con un messaggio chiaro: “Attendiamo un cessate il fuoco completo e duraturo, a partire da domani, per fornire la base necessaria alla diplomazia. Non ha senso prolungare le uccisioni. E giovedì aspetterò Putin in Turchia. Personalmente. Spero che questa volta i russi non cerchino scuse”. Parole taglienti, che accendono la tensione e pongono Mosca davanti a una sfida: fermare le armi, oppure smascherarsi.
L’idea di riprendere il negoziato è stata rilanciata proprio dal Cremlino, con la proposta di un vertice a Istanbul, senza precondizioni. Zelensky, fino a poche ore fa, aveva tenuto il punto: nessun incontro senza tregua, nessun passo se prima non si fermano le bombe. Da qui, la svolta improvvisa. La Turchia si è dichiarata disponibile a ospitare il faccia a faccia. Washington osserva, l’Europa appoggia, ma nessuno si sbilancia.

E ora il mondo guarda Istanbul
Il clima è sospeso. Dietro le parole si muove una posta enorme, tra speranze di pace e timori di un’ennesima messinscena. Zelensky ha scelto il campo, e ci sarà. Putin ancora no. Le trincee restano armate. Ma per la prima volta dopo mesi, la storia torna a passare da una stanza, e non da un campo minato.