Se la diplomazia fosse uno sport, oggi a Palazzo Chigi avremmo assistito a una partita infinita, con supplementari, rigori e… foto di rito a oltranza. L’incontro bilaterale tra Italia e Grecia, coronato da una lista apparentemente interminabile di accordi, è sembrato più una maratona che una cerimonia istituzionale. La speaker leggeva i nomi dei ministri uno per uno con la solennità di un giudice olimpico, e per ogni nome scattava un applauso, una firma, una stretta di mano e naturalmente una posa degna dell’album del G7.
In prima fila, la premier Giorgia Meloni cercava di mantenere il sangue freddo, stretta nel suo tailleur e in quello che appariva sempre più come un loop di protocolli: firma, clic, passo avanti, altra firma, altro clic. Mitsotakis, dal canto suo, osservava con compostezza da statista ellenico, ma un paio di volte si è lasciato andare a un’alzata di sopracciglio che in Grecia potrebbe valere una crisi di governo.
Il momento clou? Quando Meloni, ormai prigioniera cerimoniale, ha allargato le braccia con un gesto che nemmeno Totò in “Siamo uomini o caporali”. Un misto tra resa ironica e invocazione divina: tipo “qualcuno fermi questo PowerPoint vivente prima che passiamo alla lista dei sottosegretari”. A quel punto si è capito che anche le alleanze strategiche hanno un prezzo, e si misura in minuti di pazienza.
Alla fine, l’annuncio salvifico: “La cerimonia è terminata”. Scroscio di applausi, sorrisi finalmente sinceri e Meloni che, più che premier, sembrava un’atleta al traguardo. Chissà se nei prossimi incontri bilaterali chiederà un riassunto per punti, o magari direttamente un podcast. In fondo, tra Italia e Grecia l’intesa c’è: basta non leggerla tutta, ministero per ministero, davanti alle telecamere.
