
Nonostante le speranze sollevate dal possibile rilascio dell’ostaggio israelo-americano Edan Alexander, Israele ha chiarito che non vi è stato alcun accordo per un cessate il fuoco o per la liberazione di prigionieri palestinesi. A precisarlo è stato il primo ministro Benjamin Netanyahu, sottolineando che l’unico punto concordato riguarda un corridoio sicuro per permettere l’evacuazione dell’ostaggio, detenuto da oltre 580 giorni nella Striscia di Gaza.
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Il rilascio come gesto verso Trump
Secondo quanto riferito da fonti diplomatiche, tra cui un funzionario statunitense, uno palestinese e una terza fonte con conoscenza diretta del dossier, la decisione di Hamas di rilasciare Alexander è da leggere come un gesto di buona volontà nei confronti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in vista del suo imminente viaggio nella regione del Medio Oriente. L’obiettivo, secondo queste fonti, sarebbe quello di spingere l’amministrazione americana a convincere Israele a firmare un accordo per la liberazione dei restanti ostaggi ancora detenuti, in cambio di una possibile fine delle ostilità.
Al momento, secondo fonti ufficiali israeliane, 59 ostaggi si troverebbero ancora nelle mani di Hamas. La liberazione di Alexander, ultimo ostaggio con cittadinanza americana ancora in vita, potrebbe quindi rappresentare un primo passo verso un possibile allentamento del conflitto, ma Netanyahu ha ribadito che l’azione militare non si fermerà.
Netanyahu: operazioni in corso e negoziati sotto il fuoco
“La guerra continuerà. I negoziati proseguiranno sotto il fuoco, durante i preparativi per l’intensificazione dei combattimenti”, ha affermato l’ufficio del primo ministro in un comunicato. Una linea dura, quella di Tel Aviv, che si contrappone apertamente ai segnali di apertura di Hamas e alla volontà degli Stati Uniti di trovare una soluzione diplomatica al conflitto.
In questo contesto, si inserisce il ruolo dell’inviato speciale americano per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che ha contattato nella giornata di ieri i genitori di Alexander per informarli del possibile rilascio imminente. La famiglia è volata in Israele domenica sera, accompagnata dall’inviato per gli ostaggi Adam Boehler, per essere presente nel momento della liberazione.
Secondo quanto riferito da fonti statunitensi, Witkoff sarebbe dovuto arrivare in Israele separatamente, proveniente dall’Oman, dove era impegnato nel quarto round di colloqui nucleari con l’Iran, altro attore centrale negli equilibri della regione.
Raid su scuola a Gaza: almeno 10 vittime tra i civili
Mentre si discute di rilascio e diplomazia, la guerra in corso a Gaza continua a mietere vittime. La scorsa notte, un attacco aereo israeliano ha colpito una scuola a Jabalia, nel nord della Striscia, provocando almeno 10 morti, tra cui donne e bambini. Lo ha riferito il portavoce della Protezione civile di Gaza, Mahmud Bassal, sottolineando che l’edificio colpito, la scuola Fatima Bint Asad, ospitava oltre 2.000 sfollati.
Oltre ai morti, si registrano decine di feriti. Le immagini diffuse mostrano detriti e corpi estratti dalle macerie in un clima di disperazione e rabbia. L’attacco ha suscitato forti critiche da parte di diverse organizzazioni umanitarie, che denunciano le condizioni sempre più drammatiche in cui versa la popolazione civile.
Una tregua ancora lontana
Il rilascio di Edan Alexander, se confermato, potrebbe rappresentare un segnale positivo in una fase in cui il conflitto sembra avvitarsi su sé stesso. Tuttavia, la ferma posizione del governo israeliano e le operazioni militari ancora in corso rendono difficile immaginare una tregua a breve termine. La popolazione di Gaza, intanto, continua a pagare il prezzo più alto, stretta tra le bombe e l’incertezza.
In uno scenario segnato da violenza, diplomazia intermittente e sforzi internazionali, la storia di Alexander e dei tanti ostaggi ancora detenuti rappresenta solo una parte di un conflitto ben più vasto e doloroso, che attende ancora risposte concrete.