Vai al contenuto

“Ho tenuto stretto il corpicino di mio figlio”. Lampedusa, parla la madre di uno dei bimbi

Pubblicato: 12/05/2025 07:52

Due madri, piegate dal dolore, hanno cullato per ore i corpi senza vita dei loro bambini. Esther, nome di fantasia, è rimasta immobile, ustionata, proteggendo il suo bambino ormai privo di vita. L’immagine di quella madre, bruciata dalla miscela di acqua e carburante, accovacciata a cullare il suo piccolo, racconta più di ogni altra cosa la disperazione di quel viaggio.

Come lei, anche un’altra giovane madre ha vissuto lo stesso strazio. Entrambe avevano bambini di poco più di due anni. Entrambe hanno visto i loro figli smettere di piangere sotto il sole impietoso.

I corpi stretti tra le braccia: il dolore delle madri

Sono morti i loro figli. Morti di sete su un gommone partito dalla Libia, rimasto alla deriva per giorni. Il drammatico racconto dei sopravvissuti e dei soccorritori della ONG ResQship riporta al centro la brutalità delle traversate nel Mediterraneo e denuncia con forza il silenzio politico su una tragedia che si ripete. “Il suo cuore non batteva più. L’ho tenuto stretto tra le braccia, temevo che me lo facessero buttare in mare”, ha sussurrato una delle madri ai medici e ai soccorritori, incapace di dire altro. L’immagine di quella madre, bruciata dalla miscela di acqua e carburante, accovacciata a cullare il suo piccolo, racconta più di ogni altra cosa la disperazione di quel viaggio.

Il gommone era partito martedì notte da Zawiya, in Libia, con circa 60 persone a bordo. Il viaggio, promesso breve e sicuro dietro un pagamento di 1.500 dollari a testa, si è trasformato in un incubo di tre giorni. Dopo appena un giorno il motore si è guastato. A bordo non c’era né acqua né cibo a sufficienza. Le madri hanno tentato di dare ai piccoli le ultime gocce disponibili, ma il caldo, il vento e la disidratazione hanno avuto la meglio.

“Cercavamo di coprirli, di proteggerli, ma non avevamo nulla”, ha raccontato il padre di uno dei bambini, soccorso insieme agli altri. Le madri sono riuscite a tenere i corpi stretti a sé per quasi 24 ore, impedendo che venissero gettati in mare come accaduto in altri casi. Quando il veliero Nadir della ONG ResQship è finalmente arrivato, le prime mani ad alzarsi per la consegna erano le loro, con i due corpicini inerti.

Il racconto straziante dei volontari

“Non avevamo mai visto persone in quello stato”, raccontano i volontari della Nadir. Alcuni erano semicoscienti, altri ustionati, molti in delirio. Un altro migrante, un giovane di meno di trent’anni, è morto tra le braccia del comandante del veliero. Le sue condizioni erano troppo gravi. “Abbiamo provato a rianimarlo per mezz’ora, ma non ce l’ha fatta”.

I volontari hanno espresso la loro indignazione in modo netto: “I bambini che muoiono di sete nel Mediterraneo sono un fallimento politico imperdonabile”. Lo stato di emergenza, la mancanza di un sistema di soccorso istituzionale efficace e il ritardo nell’intervento sono tutte variabili che rendono queste morti prevedibili e quindi evitabili.

I 57 sopravvissuti, tra cui 13 donne e 2 minori, provengono da Gambia, Ghana, Niger, Nigeria, Sierra Leone e Togo. Le due coppie ghanesi che hanno perso i figli sono ora assistite dagli psicologi della Croce Rossa presso l’hotspot di Lampedusa. Imad Dalil, direttore del centro, ha confermato: “Sono sotto shock. Non riescono ancora a parlare, solo a piangere”.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2025 08:01

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure