
Un grande protagonista del nostro tempo ci ha lasciati. Con lui se ne va una delle voci più libere, autentiche e controcorrente della politica contemporanea. Le sue frasi, sempre taglienti e cariche di significato, restano come testamento morale di un’esistenza vissuta intensamente. “Sono un contadino nell’animo”; “Ho dato un senso alla mia vita, morirò felice”; “Ho il destino dell’avanguardia”; “La cultura è figlia delle stronzate”. Parole che oggi suonano come un commiato.
Negli ultimi mesi, la sua salute si era aggravata. Aveva annunciato pubblicamente la diagnosi di un tumore all’esofago, lasciando intendere che non avrebbe intrapreso cure aggressive. “Il mio corpo non ce la fa più”, aveva detto con lucidità, “un guerrigliero ha diritto a riposare”. Così, a pochi giorni dal suo novantesimo compleanno, si è spento serenamente, nella sua amata casa di campagna, accanto alla moglie.

José Alberto Mujica Cordano, per tutti semplicemente Pepe Mujica, è morto. Ex presidente dell’Uruguay, ex guerrigliero tupamaro, simbolo della sinistra latino-americana e figura carismatica a livello mondiale, aveva governato il Paese dal 2010 al 2015. Definito da molti “il presidente più povero del mondo”, devolveva la quasi totalità del suo stipendio a organizzazioni di volontariato, vivendo con semplicità nella sua fattoria alla periferia di Montevideo.
Nato da padre basco e madre di origini italiane, Mujica ha avuto un’infanzia segnata dalla povertà. Fin da giovane ha mostrato passione per la natura, diventando un esperto giardiniere, e per la politica, seguendo l’esempio dello zio materno. Negli anni ’60 aderì al Movimento di Liberazione Nazionale – Tupamaros, un gruppo ispirato alla rivoluzione cubana. Partecipò a numerose azioni, finendo più volte in carcere.
Nel 1970 fu ferito gravemente in uno scontro a fuoco e incarcerato per la prima volta. In totale, trascorse 12 anni in prigione, in condizioni estreme: isolamento, privazione di cibo, celle sotterranee troppo basse per stare in piedi. Era uno dei “rehenes”, gli ostaggi politici della dittatura uruguaiana, pronti a essere giustiziati in caso di nuovi attacchi guerriglieri. Uscì solo nel 1985, con il ritorno della democrazia, ma segnato nel corpo da quella lunga prigionia.
Nonostante ciò, non ha mai ceduto al rancore. Si è speso per la riconciliazione e ha guidato il Paese verso importanti riforme: legalizzazione dell’aborto, matrimoni egualitari, regolamentazione della marijuana. Convinto che la libertà personale e la dignità sociale siano diritti universali, Mujica ha incarnato un modello di politica umana, disinteressata, radicata nei valori.
Fino all’ultimo ha rifiutato il lusso e il potere come fine. Viveva in una modesta casa con la moglie Lucía Topolansky, ex senatrice e sua compagna di lotta. Guidava un vecchio Maggiolino Volkswagen del 1987, simbolo di una filosofia che rifuggiva il consumismo: “Hai tempo per lavorare, ma non per vivere”, ripeteva. Oggi il mondo saluta un uomo che ha fatto della sobrietà e della coerenza un esempio raro. Pepe Mujica è morto, ma le sue idee continueranno a camminare.