
Ci sono dolori che non trovano tregua, ferite che non si rimarginano e pensieri che continuano a bussare anche quando sembra che il tempo sia passato. Per Chiara Tramontano, sorella di Giulia, uccisa nel maggio 2023 da Alessandro Impagnatiello, il lutto è diventato una forma di esistenza. Non si tratta solo di un ricordo che riaffiora, ma di una presenza costante, che si insinua in ogni gesto quotidiano, nei momenti di quiete e perfino nelle pause più brevi.
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Le sue giornate sono scandite dalla lotta interiore contro i sensi di colpa, contro la rabbia e contro l’ingiustizia di ciò che è accaduto. In un libro carico di emozione e verità, Chiara ha scelto di mettere «nero su bianco» quel dolore sordo e continuo, trasformandolo in un atto di memoria ma anche in un grido che attraversa la coscienza di chi legge. Un gesto di coraggio che prova a tenere accesa la luce su una tragedia che non può e non deve finire dimenticata.
Il conflitto, il silenzio e quella vacanza a Ibiza
A tormentare Chiara non c’è solo l’assenza: c’è anche il pensiero di un litigio mai risolto. «Non ci parlavamo da quando mi aveva detto che sarebbe andata a Ibiza con Alessandro», racconta con amarezza al Corriere della Sera. Giulia aveva confidato alla sorella i problemi nella relazione con Impagnatiello, e Chiara non aveva dubbi sul fatto che quella storia fosse tossica, priva di futuro. Quando Giulia le disse che avrebbe comunque accettato quel viaggio per “provare a ricucire”, senza parlarne con lei, Chiara reagì con rabbia. Le parole che si scambiarono furono dure. «Mi ha risposto che la vita era sua», racconta oggi, con quella lucidità dolorosa di chi sa che certi dialoghi non avranno mai più un seguito.
Il rimorso per quell’ultima discussione si è trasformato in un’eco che non smette di rimbalzare nella sua mente. Non perché possa davvero credere che una parola diversa avrebbe cambiato il corso delle cose, ma perché è nella natura del lutto cercare il punto esatto in cui, forse, si poteva deviare dal destino. «Potevo fare di più per salvarla da quel mostro?», si chiede ancora, in un interrogativo che non cerca risposta ma che serve a tenere viva la memoria.
La vita dopo l’omicidio: il dolore che non si spegne
Da quel giorno, Chiara vive in uno stato di allerta emotiva costante. «Se mi fermo, penso, e pensare è un tormento», scrive nel suo libro. Evita di sedersi sul divano, non guarda film, e anche durante l’allenamento fisico, i trenta secondi di pausa diventano uno spazio insopportabile dove la mente può correre a quei ricordi. Perfino la gioia momentanea si trasforma in colpa: «Se per un attimo mi diverto, penso che è ingiusto verso Giulia che non c’è più».
È una condizione di prigionia interiore che nessuno può davvero comprendere fino in fondo. Un dolore che si manifesta non solo con le lacrime, ma soprattutto con l’impossibilità di riconciliarsi con una quotidianità normale. La sorella sopravvissuta vive come se ogni gesto richiamasse, anche indirettamente, la tragedia. E se da fuori sembra che il tempo possa guarire, dentro quel tempo è fermo, cristallizzato attorno a un’assenza.

Impagnatiello: «Non chiamatelo essere umano»
Parole dure, ma inevitabili, quelle che Chiara rivolge oggi al responsabile del femminicidio. «Ora so che, quando ci siamo visti per l’ultima pizza a marzo, aveva già iniziato ad avvelenare mia sorella», racconta con una lucidità che inchioda. Il dettaglio è agghiacciante: Alessandro Impagnatiello, già in quel momento, stava tentando di uccidere Giulia e il bambino che aspettava, e lo faceva sedendo accanto al padre di lei. «Per me è un essere immorale, non chiamatelo essere umano», dice Chiara. Una frase netta, che restituisce tutta la gravità dell’orrore vissuto.
L’assassinio di Giulia Tramontano non è solo un fatto di cronaca: è una ferita collettiva, un simbolo tragico di come la violenza sulle donne si annidi anche nei luoghi dove dovrebbe esserci amore. La voce di Chiara, così sincera, così cruda, diventa oggi una delle testimonianze più forti e necessarie. Non solo per ricordare chi non c’è più, ma per non permettere che la normalizzazione dell’orrore prenda il sopravvento.
In quelle pagine, in quel dolore raccontato senza filtri, si trova tutto: la sorella, la donna, la figlia, l’essere umano. Ma soprattutto, si trova la volontà – ostinata e luminosa – di non lasciare che il silenzio prenda il posto della memoria.