
Alle 22, il centralino di Palazzo Chigi tace. Nessuna chiamata dall’Eliseo. Nessun segnale, nessun tentativo di ricucire. Per la terza volta in tre giorni, Emmanuel Macron ignora Giorgia Meloni escludendola dai suoi contatti di alto livello sull’Ucraina. Non è una dimenticanza: è una scelta. Chi non partecipa al gruppo dei “volenterosi” resta fuori dai tavoli che contano.
Il presidente francese è stato chiaro: nessuna sedia a chi non si allinea. Niente treno per Kiev (a cui Meloni ha preferito un collegamento da remoto), niente inviti nei vertici a quattro con Polonia, Germania e Regno Unito. La premier italiana, oggi, è esclusa dai centri decisionali più caldi d’Europa. Ed è una sfida frontale.
Trump, l’alternativa fragile
Meloni ha scelto di sfilarsi dall’iniziativa franco-anglosassone per puntare tutto su un asse alternativo con Donald Trump. I rapporti tra i due sono buoni, ci sono telefonate, sorrisi a distanza, affinità politiche. Ma nel frattempo, la regia diplomatica sull’Ucraina si muove su due binari ben definiti: Washington da un lato, Macron e i “volenterosi” dall’altro.
Dietro questa postura internazionale, ci sono anche interessi di politica interna. Dire no ai “volenterosi” – e quindi non aprire nemmeno la porta all’ipotesi di truppe europee in Ucraina – ha permesso a Meloni di neutralizzare sul nascere le manovre di Matteo Salvini, sempre pronto a cavalcare l’onda populista. Ma il prezzo di questa scelta comincia a farsi sentire.

Roma in difficoltà, tra riarmo e ritardi
Nonostante i toni rassicuranti che filtrano da Palazzo Chigi, i segnali di una crescente difficoltà diplomatica sono evidenti. Meloni ha rinviato un incontro con il premier slovacco Robert Fico, reduce dalla controversa parata sulla Piazza Rossa, e non ha ancora attivato la clausola di flessibilità del ReArm offerta da Bruxelles.
Sul riarmo, la tensione è doppia: il governo italiano vuole annunciare al vertice Nato di giugno il raggiungimento del 2% del Pil entro il 2025, ma Trump probabilmente chiederà un balzo fino al 4%. E in questo quadro, Giorgetti ha già spiegato che non ha senso far passare le spese militari fuori dal deficit se poi bisogna rientrare dopo quattro anni.
Ancora una volta, Salvini è lo spettro che incombe. Ostile al riarmo, allergico agli impegni strutturali, continua a essere il “nemico a destra” più temuto dalla Premier. Ma, Salvini a parte, è chiaro che in questa congiuntura economica l’Italia non potrebbe destinare il 4% del Pil al riarmo, non senza tagli dolorosi a un Welfare già in difficoltà.
La sponda tedesca: speranza o illusione?
Per uscire dall’angolo, Meloni cerca ora una sponda in Germania. Friedrich Merz, il neo-cancelliere, sarà a Roma domenica per l’intronizzazione di Leone XIV. A margine, potrebbe vedere la premier. I due si conoscono da anni, si stimano, condividono una linea dura sui migranti.

Ma Berlino oggi viaggia in perfetta sintonia con Parigi: Macron e Merz hanno suggellato un’intesa sulla difesa e preparano nuove partnership, anche con Londra. Meloni? Per ora, non viene coinvolta, e nessuno a Berlino intende affidarle il ruolo di mediatrice tra Europa e Stati Uniti.
La politica della sedia vuota
Il gelo con Macron, il gelo con Berlino, l’ambiguità su Kiev, i calcoli interni che frenano i passi decisivi. L’Italia, oggi, è assente dai tavoli che contano. Non irrilevante, certo. Ma isolata sì, almeno su questo fronte. Meloni prova a rientrare nei giochi, ma il tempo stringe. E la politica della sedia vuota, in Europa, raramente ha premiato qualcuno.
Per questo la nostra Premier, se vorrà tamponare questo momento di parziale crisi nelle relazioni continentali e globali, dovrà prendere prima o poi qualche posizione più netta. Vero che c’è una maggioranza da tenere insieme, ma vero anche che la chiarezza delle posizioni è stata una delle armi che hanno consentito a Meloni di portare il suo partito al 30% dei consensi. Ed è un vantaggio che Giorgia non vuole perdere.