
Domani la Corte di giustizia dell’Unione europea si pronuncerà sul ricorso del New York Times riguardo ai famigerati sms tra Ursula von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, scambiati durante la negoziazione del più oneroso contratto per i vaccini anti-Covid. Tuttavia, il verdetto sarà simbolico: si attende solo l’annuncio del rinvio del caso. Nessuna pubblicazione degli sms, poiché la Commissione europea nega di averli conservati, classificandoli come “non rilevanti”. L’esito più probabile? Una condanna della Commissione al pagamento delle spese processuali.
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Al di là dell’aspetto giuridico, la questione resta politica. Un giudizio negativo, seppur formale, rischierebbe di compromettere l’immagine di Ursula von der Leyen, che punta al secondo mandato alla guida dell’esecutivo europeo.
Il simbolo delle opacità nella gestione del Covid-19
Lo scandalo ribattezzato Pfizergate, oggetto del ricorso presentato dal New York Times, incarna la più grande accusa di mancanza di trasparenza mossa alla Commissione durante la gestione dell’emergenza sanitaria. Già nel luglio scorso, su ricorso di eurodeputati dei Verdi, la Corte Ue aveva criticato l’esecutivo per non aver garantito un accesso adeguato ai contratti sui vaccini.
I documenti divulgati presentavano numerose omissioni, in particolare su prezzi, clausole favorevoli ai produttori e indennizzi da pagare in caso di effetti avversi: responsabilità che, secondo quei contratti, ricadevano interamente sugli Stati membri. Una gestione che, secondo i critici, ha rispecchiato la logica della socializzazione dei costi e privatizzazione dei profitti.
Uno studio commissionato dal Parlamento europeo al professor Massimo Florio dell’Università Statale di Milano ha mostrato come, tra il 2021 e il 2022, i profitti globali dell’industria farmaceutica abbiano toccato i 90 miliardi di dollari, di cui 35 miliardi solo per Pfizer, mentre i rischi degli investimenti erano stati coperti per la maggior parte dai governi pubblici (circa 30 miliardi contro i 16 miliardi messi dalle aziende).
Una trattativa diretta e fuori protocollo
La controversa trattativa via sms tra von der Leyen e Bourla portò al contratto di maggio 2021, quando la campagna vaccinale europea era già iniziata (27 dicembre 2020). In quell’accordo, la Commissione siglò con Pfizer – scelto anche per la sua capacità produttiva superiore rispetto ai concorrenti – una fornitura di 900 milioni di dosi, con opzione per altri 900 milioni, mai attivati. Una quantità sproporzionata, che ha prodotto centinaia di milioni di dosi inutilizzate.
Per rimediare all’eccesso, nel 2023 è stato firmato un contratto correttivo per rimodulare le consegne anche negli anni successivi. Intanto, già nell’aprile 2021, il New York Times aveva dato notizia dell’esistenza degli sms, richiedendone formalmente l’accesso. Di fronte al rifiuto della Commissione, il quotidiano ha presentato ricorso, oggi oggetto del verdetto.

Il comportamento “segreto” e le mancate audizioni
Il caso è stato oggetto anche delle indagini della Commissione Covid istituita dal Parlamento europeo, dove la maggioranza dei deputati ha assolto von der Leyen solo in una fase successiva. La proposta di sanzionare Pfizer per il rifiuto opposto da Bourla a comparire in audizione è stata respinta.
Nell’udienza dello scorso novembre, la presidente della Commissione non si è presentata, delegando un alto funzionario. Quest’ultimo ha confermato l’esistenza degli sms, ma ha ribadito che non furono archiviati, poiché considerati meri “appunti” e non documenti ufficiali dell’Ue. “La presidente sarebbe stata bene attenta a commentare il contenuto degli sms”, ha dichiarato Heikki Johan Kanninen, uno dei giudici che domani si pronunceranno.
Una nuova polemica sullo sfondo
Ad aggiungere benzina sul fuoco arriva una nuova polemica: lo scorso venerdì, von der Leyen ha deciso di noleggiare un aereo privato per volare da Bruxelles a Lussemburgo, una distanza di meno di 200 chilometri. Una scelta giustificata dalla Commissione come dettata da “urgenza”, in vista della partecipazione, insieme a Antonio Costa e Roberta Metsola, alle celebrazioni per il 75º anniversario della dichiarazione di Schuman.
Un volo breve ma pesante in termini di immagine pubblica, che si aggiunge al contesto teso in cui si attende la decisione della Corte. In conclusione, la sentenza attesa per domani avrà un valore più simbolico che pratico, ma getterà un’ulteriore ombra sulla trasparenza e sull’accountability delle istituzioni europee, soprattutto in un periodo in cui si decide il futuro della loro leadership.