
Non è raro che la diplomazia internazionale si giochi tra simboli, gesti e dichiarazioni più che nei documenti firmati. A volte, l’eco di un’iniziativa può contare più della sua concreta riuscita, soprattutto se in ballo ci sono equilibri politici globali e ambizioni elettorali. In questo scenario si inserisce l’ultima mossa dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha cercato di riprendere le redini del dossier ucraino proponendo un vertice tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky.
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L’idea è chiara: utilizzare un cessate il fuoco di 30 giorni come base per un incontro diretto tra i due leader, da tenersi a Istanbul, con Trump nel ruolo di facilitatore e garante internazionale. Un gesto che, oltre all’apparente intento pacificatore, porta con sé il sapore della campagna elettorale statunitense, sempre più prossima.
Mosca respinge l’iniziativa americana: “Nessun negoziato da chi sta perdendo”
Dal terzo paragrafo in poi, la vicenda prende una piega netta. La risposta russa alla proposta americana è stata fredda e definitiva. A intervenire, con toni durissimi, è stato Kostantin Kosachev, vicepresidente del Consiglio della Federazione. Le sue parole – “nessun negoziato sotto condizioni poste da chi sta perdendo” – hanno fatto il giro delle principali agenzie russe in poche ore, sancendo il rifiuto di Mosca a ogni dialogo impostato secondo le condizioni ucraine o occidentali.
Kosachev, esponente di spicco di Russia Unita, ha chiarito che “l’iniziativa, ammesso che si debba trattare, spetta a noi”. Per il Cremlino, dunque, Zelensky non ha alcuna legittimità per dettare condizioni, e ogni apertura diplomatica può avvenire solo secondo i tempi e le modalità russe. Una presa di posizione che ribalta la narrativa occidentale e chiude, almeno per ora, alla possibilità di un tavolo congiunto.
Il cessate il fuoco richiesto da Kiev e il sostegno europeo
A dare origine alla nuova spirale di dichiarazioni è stato l’annuncio del presidente ucraino, che ha comunicato la disponibilità di Kiev a un confronto diretto con Mosca, ma solo a fronte di un cessate il fuoco completo di almeno 30 giorni. Una proposta accolta positivamente da diversi leader europei, che hanno fatto visita alla capitale ucraina per esprimere sostegno politico e simbolico.
Secondo le intenzioni ucraine, il cessate il fuoco avrebbe dovuto rappresentare la condizione minima per costruire un dialogo concreto. L’eventuale vertice a Istanbul, con la presenza di Trump, avrebbe potuto segnare un punto di svolta. Ma la diffidenza reciproca e la mancanza di fiducia tra le parti restano ostacoli insormontabili.
Putin e Zelensky, due leader troppo lontani
Nonostante la proposta americana, le possibilità di un incontro tra Putin e Zelensky vengono giudicate altamente improbabili. “Ci vogliono settimane solo per preparare la sicurezza di un viaggio del presidente russo”, fanno notare fonti parlamentari russe. Oltre alle complessità logistiche, pesa la distanza politica e personale tra i due leader, ormai consolidata dopo anni di guerra e accuse incrociate. “Stiamo parlando di due uomini che si detestano”, sintetizza con brutalità un osservatore diplomatico.
In parallelo, secondo molti analisti, l’obiettivo reale dietro le quinte sarebbe quello di non ostacolare l’agenda di Donald Trump, che ha bisogno di un risultato internazionale da spendere in patria, nel contesto della prossima tornata elettorale. Per Mosca e Kiev, il rischio è diventare pedine in una partita che non controllano.

Gli esperti: posizioni inconciliabili e tregua lontana
Il clima di ambiguità diplomatica e le aperture a metà vengono lette con scetticismo dagli esperti di entrambe le sponde. Tatiana Stanovaya, analista russa in esilio, afferma con chiarezza che “le posizioni sono inconciliabili” e che “obiettivamente è impossibile raggiungere una tregua stabile in questa fase”. Dello stesso avviso è Oleg Karpovich, dell’Accademia diplomatica russa: “Solo se Kiev accetterà un dialogo serio, considerando le richieste di Mosca, si potrà parlare di armistizio. Ma non vediamo segnali in tal senso”.
Anche Grigory Karasin, presidente della Commissione Esteri del Senato russo, che in passato ha partecipato ai colloqui preliminari in Bahrein, non nasconde la propria delusione. “Dalle dichiarazioni ucraine si capisce che si tratta solo di una prova di forza. Questo non agevola né il presidente, né la nostra diplomazia”, ha commentato.
Un conflitto sospeso tra propaganda e calcolo politico
Alla fine, come osserva lo storico britannico Mark Galeotti, l’impressione è che “Putin e Zelensky sembrino più impegnati a dimostrare di voler trattare, che a farlo davvero”. Una sintesi amara, ma lucida. Il conflitto resta sullo sfondo, sospeso tra le telecamere di Washington e il gelo del Cremlino, mentre la guerra continua a mietere vittime e consumare speranze.
La diplomazia, in questo momento, appare più come uno strumento narrativo che una vera via d’uscita. E il tentativo di Trump, pur clamoroso nei toni e nei tempi, non ha ancora trovato terreno fertile. Il cessate il fuoco resta un’ipotesi lontana, e la pace un traguardo ancora troppo sfocato.