
Vicchio, Mugello. Un angolo della Toscana che per anni ha ospitato una realtà che si presentava come modello. Un luogo dove l’agricoltura si univa all’educazione, dove si parlava di affetto, di crescita condivisa, di futuro. Quel luogo si chiamava Forteto. Una comunità fondata nel 1977. Alla guida, un uomo. Un volto conosciuto da tutti: Rodolfo Fiesoli.
Leggi anche: Blitz a Garlasco, gemelle Cappa: chi sono le cugine di Chiara Poggi. Perché si torna a parlare di loro
Politici, giudici, professionisti. In tanti guardavano al Forteto come a un’esperienza da imitare. Si organizzavano visite, convegni, celebrazioni. E scrivevano libri, si assegnavano riconoscimenti. Il “Profeta”, come molti chiamavano Fiesoli, parlava e insegnava. I bambini arrivavano. Le istituzioni li affidavano a quella realtà.
Ma sotto la superficie, si nascondeva altro. I racconti degli ex ospiti non parlavano solo di agricoltura o affetto. Parlavano di violenze, abusi, punizioni. La verità venne fuori solo decenni dopo.
La condanna e gli arresti
Fiesoli fu condannato a quasi quindici anni di carcere. La sentenza divenne definitiva nel novembre 2019. Finì nel penitenziario di Padova, poi venne trasferito in una casa di riposo per motivi di salute nel 2023. Aveva 82 anni. È morto lì, pochi giorni fa.
La sua ultima apparizione risale al marzo scorso. Fu portato in ambulanza a Palazzo San Macuto per rispondere alla commissione parlamentare d’inchiesta. Parole confuse, risposte vaghe. Disse: “Non mi pento di niente”. Negò tutto. Disse che i bambini “erano felici”, che “c’era un’affettività molto piacevole”.
I primi problemi con la giustizia iniziarono presto. Nel 1978, Fiesoli e il suo braccio destro Luigi Goffredi furono arrestati. Le accuse: corruzione di minorenne e sottrazione consensuale di minorenne. Nonostante questo, gli affidi continuarono. Le istituzioni non intervennero. La comunità crebbe. Le denunce non bastarono a fermare il meccanismo.
Nel 2011, un’indagine della pm Ornella Galeotti e del procuratore aggiunto Giuliano Giambartolomei scoperchiò il sistema. Emersero testimonianze. Voci soffocate per anni. Voci che parlavano di una vera e propria setta.
Il dolore delle vittime
Sergio Pietracito, presidente dell’associazione delle Vittime del Forteto, ha commentato la morte con poche parole: “Non provo niente”. Ha parlato di distacco, ma anche di un segno. Fiesoli è morto lo stesso giorno in cui una delle madri vittime di quella comunità ha potuto raccontare la sua storia in Parlamento. Una madre rimasta ingiustamente in carcere per sette anni.
Pietracito ha sottolineato che molti segreti resteranno tali. Ha ricordato il 1998, l’anno in cui nacque la Fondazione Il Forteto. Da lì, secondo lui, cominciarono le coperture politiche più forti. Ha parlato di chi ancora oggi difende la comunità, magari in modo indiretto, dicendo che “facevano anche cose buone”.