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Elisa Amato, via alla fondazione promossa dalla famiglia del suo assassino: la furia dei parenti

Pubblicato: 14/05/2025 08:33

A Prato, il tempo non spegne il dolore. Non lo fa neppure quando sono passati sette anni da una tragedia che ha segnato una famiglia, una comunità, un’intera città. Un nome, Elisa Amato, resta inciso nella memoria collettiva. Non solo per ciò che è accaduto, ma per ciò che continua a provocare.
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In questi giorni, nelle strade e nelle case, si parla ancora di quella storia. E lo si fa con un misto di rabbia, sgomento e incredulità. C’è chi ricorda, chi prova a capire, chi prende posizione. E soprattutto chi non ci sta. Il clima non è dei più semplici. Due famiglie, unite da un lutto, divise da un abisso. La differenza sta tutta in quello che rappresentano. La vittima e il carnefice. Nessuna sovrapposizione possibile. Nessuna zona grigia.

Una sentenza che riaccende la ferita

Il Tar della Toscana ha dato il via libera alla creazione di una fondazione contro la violenza di genere, promossa dalla famiglia di Federico Zini, l’uomo che nel 2018 uccise la sua ex compagna Elisa Amato prima di togliersi la vita. Il progetto aveva già ricevuto due bocciature. Una nel 2018, subito dopo il delitto. Una seconda nel 2023, nonostante il cambio di nome e alcune modifiche formali. Ora, la decisione del Tribunale amministrativo ribalta tutto. La fondazione potrà esistere, a patto che non porti il nome del figlio.

La voce della sorella di Elisa

Elena Amato non accetta. Lo dice senza mezzi termini. «È inaccettabile», afferma. E aggiunge: «Stiamo parlando di riabilitare in qualche modo il nome o il ricordo di un assassino». Le sue parole arrivano dritte, senza possibilità di fraintendimenti. La famiglia Amato, da anni, si batte per tenere viva la memoria di Elisa, ma anche per affermare un principio: le vittime non vanno oscurate dai carnefici.

La fondazione, secondo Elena, manda un messaggio sbagliato. «Non si capisce cosa vogliano valorizzare di preciso», dichiara. E denuncia il silenzio da parte della famiglia Zini, che non ha mai cercato un confronto né espresso pubblicamente le proprie intenzioni.

La città si divide

La comunità di Prato si ritrova ancora una volta spaccata. Da una parte chi chiede di guardare al futuro, dall’altra chi sente che quella ferita è tutt’altro che rimarginata. Il centro antiviolenza La Nara, con la voce di Francesca Rinaldi, sottolinea l’importanza della chiarezza. «Uno è il carnefice, l’altra la vittima: questo non si può confondere», avverte.

Oltre 9 mila firme erano già state raccolte nel 2018 per fermare l’iniziativa. Allora come oggi, la questione rimane aperta. Una domanda domina su tutte: può una fondazione contro la violenza nascere da chi rappresenta l’autore di un femminicidio?

La sorella di Elisa non si ferma. Chiede rispetto, ma soprattutto coerenza. «Non riescono ad accettare il rifiuto, come il loro figlio», afferma. E dietro questa frase c’è tutto il senso di una battaglia. Non solo personale. Non solo familiare. Ma culturale. In gioco c’è la narrazione pubblica dei femminicidi, la rappresentazione dei ruoli, la dignità di chi non c’è più. Intanto, la fondazione potrà nascere. Ma il giudizio dell’opinione pubblica, quello, resta sospeso.

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