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Cosa si nasconde dietro i cassonetti gialli dei vestiti usati: l’incredibile rivelazione dell’inchiesta de Le Iene

Pubblicato: 15/05/2025 10:06
cassonetti vestiti usati Caritas

I cassonetti dei vestiti usati della Caritas nascondono un lato oscuro. Presenti in ogni angolo delle città italiane, vengono percepiti come simboli di solidarietà. Ma un’inchiesta de Le Iene, condotta da Luigi Pelazza, ha svelato un sistema oscuro: dietro le donazioni si nasconde un business multimilionario, in cui a guadagnare non sono i bisognosi, bensì aziende private, alcune delle quali legate alla criminalità organizzata. Secondo l’inchiesta, il giro d’affari generato dai vestiti donati nei cassonetti gialli si aggira intorno ai 200 milioni di euro all’anno, ma solo l’1% viene effettivamente destinato a fini solidali. Il restante 99% finisce nelle mani di cooperative private e società che, in cambio di una percentuale simbolica, utilizzano il logo Caritas per raccogliere abiti.
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Il viaggio degli abiti: da Milano a Caserta, poi in tutto il mondo

Per tracciare il percorso reale, partendo dai cassonetti dei vestiti usati della Caritas, Le Iene hanno nascosto un GPS in una borsa depositata in un cassonetto a Milano. Dopo essere passati da un magazzino periferico, gli abiti sono stati trasportati fino in provincia di Napoli, per poi approdare in un’azienda di Maddaloni (Caserta), specializzata nella rivendita internazionale di abiti usati. Il margine di profitto è sorprendente: acquistati a 40 centesimi al chilo, i vestiti vengono rivenduti a prezzi tra i 3 e i 5 euro al chilo, con un guadagno che supera il 1.000%, completamente legale ma eticamente discutibile, soprattutto considerando le intenzioni caritatevoli dei donatori. Luciano Gualzetti, presidente della Caritas Ambrosiana, ha dichiarato che l’organizzazione riceve tra i 300mila e i 500mila euro all’anno da queste collaborazioni. Tuttavia, a fronte di circa 11.000 tonnellate di abiti raccolti, il valore di mercato si aggira intorno ai 60 milioni di euro.

Le cooperative sociali, che dovrebbero garantire trasparenza e reinvestire nel sociale, spesso rivendono i capi ad aziende che richiedono parte del pagamento in nero, come emerso dall’inchiesta. Alcune di queste società, secondo la Direzione Investigativa Antimafia, hanno collegamenti con la camorra e non rispettano nemmeno le normative igienico-sanitarie previste per i capi d’abbigliamento usati. Dietro ai cassonetti dei vestiti usati della Caritas, insomma, si cela, in molti casi, un sistema poco trasparente che trasforma la beneficenza in profitto. Anche le raccolte promosse dai Comuni italiani spesso finiscono nello stesso circuito. Chi volesse donare vestiti usati, quindi, è meglio che si organizzi nel proprio paese o comune, cercando di capire chi sono le persone che ne hanno davvero bisogno e provvedendo da sé. O magari organizzandosi in gruppi di cittadini indipendenti.

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