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Elly Schlein, il retroscena: “Pd pronto ad archiviarla”

Pubblicato: 15/05/2025 08:18
Elly Schlein Pd archiviarla

Un nuovo fronte interno agita il Partito Democratico, questa volta in vista del referendum sul lavoro dell’8 e 9 giugno. Sei parlamentari di primo piano – Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Pina Picierno, Lia Quartapelle e Filippo Sensi – hanno firmato una lettera indirizzata a La Repubblica, ma rivolta in realtà alla segretaria del partito, Elly Schlein. Il contenuto è netto: i sei annunciano che non voteranno tre dei cinque quesiti referendari. Una presa di posizione che li colloca, paradossalmente, più vicini alle posizioni di Ignazio La Russa che a quelle della loro leader.
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Astensione motivata dal sostegno al Jobs Act

Nel mirino c’è la volontà di Schlein di smantellare il Jobs Act, la riforma del lavoro approvata con il pieno consenso del Pd sotto la guida di Matteo Renzi. I sei parlamentari – tutti ex sostenitori del renzismo – si oppongono a quella che vedono come una resa dei conti ideologica e sterile. Nella loro lettera scrivono chiaramente: «Non voteremo perché la condizione del lavoro in Italia passa dal futuro e non da una sterile resa dei conti con il passato».

La decisione di astenersi, però, ha un significato politico che va oltre il merito dei quesiti referendari. È un segnale diretto alla segreteria Schlein, accusata implicitamente di voler liquidare l’anima riformista del Pd, sostituendola con una visione più spostata a sinistra e più vicina alle posizioni del Movimento 5 Stelle o della Cgil di Maurizio Landini.

Il partito tra pluralismo e confusione

Dalla sede del Nazareno, il gesto è stato accolto come una dimostrazione del pluralismo che anima il partito. Ma tra i corridoi si percepisce chiaramente il disagio. La campagna referendaria era stata approvata all’unanimità dalla direzione, eppure il Pd si ritrova a fronteggiare defezioni pubbliche e dichiarazioni che rimettono tutto in discussione. La frattura appare insanabile, e le divergenze non sembrano trovare una sintesi nella leadership di Schlein.

Il problema di fondo non è tanto la presenza di opinioni diverse, quanto l’impossibilità di conciliarle. Il risultato è un partito incapace di tenere una linea unitaria, perfino su battaglie strategiche come quella sul lavoro. Una situazione che ricorda la parabola di Renzi: anche lui, una volta alla guida del Pd, tentò di trasformarlo nel profondo. Ma l’operazione di rinnovamento radicale – che puntava a ridimensionare chi lo aveva preceduto – si risolse in una frattura insanabile che portò alla rivolta interna.

Due leadership, un solo copione

Ora sembra di assistere allo stesso copione con protagonisti diversi. Anche Elly Schlein, arrivata da poco nel partito, non sembra voler soltanto guidarlo, ma trasformarlo completamente, snaturandone in parte l’identità storica. L’accusa, neanche troppo velata, che le muovono molti esponenti dem è quella di voler espellere la componente governista del partito, quella più vicina ai voti moderati, per avvicinarsi invece a posizioni più radicali.

La risposta della segretaria è sempre la stessa: «Io prima non c’ero e mi hanno chiamato proprio per cambiare». Un’affermazione che evidenzia la rottura con la tradizione del partito, ma che rischia di lasciare scoperto un intero pezzo del suo elettorato. In molti, infatti, non accettano di essere ridotti a copie sbiadite di Nicola Fratoianni, né vogliono essere considerati meri attendenti dei grillini.

Un futuro che rischia di cancellare il passato

Il Pd si trova così in una fase di crisi identitaria profonda, lacerato tra il desiderio di innovazione e la necessità di salvaguardare ciò che ha rappresentato per anni. I sei parlamentari che hanno scelto l’astensione, pur evitando il confronto diretto, pongono una questione centrale: quale deve essere l’anima del Pd del futuro? Quella riformista, dialogante e con ambizioni di governo, o quella movimentista, radicale, e schierata con le piazze?

La domanda, in fondo, è semplice ma fondamentale. Se un partito nato per unire le diverse anime del centrosinistra continua a frantumarsi a ogni cambio di leadership, può ancora ambire a rappresentare una forza politica di governo? Il rischio concreto è che le continue oscillazioni tra sinistra radicale e centro riformista portino a una paralisi strategica. Una paralisi che, mentre il paese attende risposte concrete, rischia di diventare irrimediabile.

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