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Meloni messa all’angolo in Europa: ma il problema è l’ambiguità, servono scelte chiare

Pubblicato: 15/05/2025 15:08

Doveva essere la “pontiera”. L’italiana capace di tenere insieme i fili fragili dell’Europa che traballa tra guerra, urne e Atlantico. Invece Giorgia Meloni si ritrova esclusa. Quella a cui viene chiesto di restare fuori, mentre dentro si decide cosa conta. A Parigi, all’Eliseo, la pazienza nei confronti della premier italiana è ai minimi storici. Fonti diplomatiche la definiscono un’“irritazione costante”.

La causa? Un sospetto che suona come un’accusa pesante nei salotti ovattati della geopolitica: nessuno si fida del suo rapporto con Donald Trump. I francesi, e non solo loro, temono che Meloni ascolti tutto e riferisca tutto: discussioni strategiche, scelte delicate. Il timore è che le sue simpatie per l’ex presidente americano la rendano un canale secondario, ma attivo, di rimbalzo informativo verso Mar-a-Lago.

Il club dei “fantastici quattro” vola a Kiev (senza di lei)

L’ultimo sgarbo non è solo simbolico, ma geopolitico: Macron, Merz, Starmer e Tusk si ritrovano a Kiev. Una foto, una firma, una stretta di mano. Parlano, si confrontano, ragionano anche con l’entourage di Trump, cercando di capire come attrezzarsi in vista del suo possibile ritorno. E Meloni? Neppure inserita in copia nascosta.

L’Europa che conta ha formato un piccolo club, non ufficiale ma potente, dove i leader veri si confrontano senza stenografi. Perché la geopolitica vera non si gioca più nei summit rituali, ma nei sottoscala riservati, dove i telefoni restano spenti e gli accordi si stringono tra una chiacchiera e un calice.

Il caso Fico e il calendario imbarazzato di Palazzo Chigi

Nel frattempo, a Roma si gestisce con imbarazzo il dossier Robert Fico, il premier slovacco ferito gravemente in un attentato. Era previsto un suo arrivo in Italia il 15 maggio, ma qualcuno ha fatto due conti: meglio spostare tutto a dopo il 2 giugno, così da evitare polemiche nel bel mezzo delle celebrazioni repubblicane.

Un modo elegante per dire che il rischio figuraccia era troppo alto, anche per una premier che del rischio ha fatto una bandiera. Ma lo slittamento non basta a mascherare l’imbarazzo di fondo: l’Italia si trova a gestire relazioni sempre più ingarbugliate con Paesi ambigui, oscillando tra prudenza e opportunismo.

Merz prende le distanze, e la Germania si raffredda

Non è solo la Francia a prendere le distanze. Anche con a Germania i rapporti sono gelidi. Friedrich Merz, leader della Cdu e potenziale cancelliere, starebbe valutando di saltare il viaggio a Roma previsto per luglio. Una decisione che, se confermata, suonerebbe come una dichiarazione politica netta: troppo caos, troppa propaganda, troppo poco peso strategico.

E Meloni? Si rifugia nella coreografia religiosa, puntando tutto su una visita in Vaticano per l’inizio del pontificato di Leone XIV. L’obiettivo? Riconquistare Merz con una strategia morbida. Ma la realtà ci dice che intanto altri disegnano le nuove mappe del potere europeo.

La politica estera senza una linea

La verità è cruda: la politica estera italiana è senza una linea precisa. Mentre Francia, Germania, Regno Unito e Polonia disegnano strategie comuni in vista di un’Europa post-Ucraina, Meloni resta fuori dalla porta. Non invitata, non interpellata. Questo perché l’Italia paga un peccato originale: avere subito per troppo tempo i diktat della Ue, soprattutto sul piano economico. E ora Meloni si trova a metà di un guado.

Vorrebbe recuperare parte della sovranità nazionale, anche perché il Paese si trova sotto continuo ricatto economico da parte di Bruxelles. Abbiamo tagliato Sanità, pensioni, Welfare, ma dalla Ue arrivano richieste di altri tagli, di altra austerity, mentre altri (guarda caso, per esempio, la Germania) spendono usando trucchi contabili. Giorgia sa che un’altra ondata di austerity causerebbe problemi interni e una crisi sociale di dimensioni imprevedibili. La gente non ha pazienza infinita.

La necessità di prendere una direzione chiara

Questo, in realtà, blocca l’operato del governo. Questione anche di equilibri internazionali, certo, ma non si può restare per sempre in una posizione ambigua. La realtà è che l’interesse nazionale viene prima della politica estera. Ed è così per tutti, da sempre. Solo che noi partiamo da una posizione più debole. Ed è difficile risalire. Meloni ha pensato di farlo passando attraverso i rapporti privilegiati con Trump, ma per ora non ha funzionato.

Cosa farà quando si dovrà davvero aumentare notevolmente la spesa militare? O quando entreranno in vigore le regole del Green Deal, che prevedono un salasso insostenibile per i cittadini? Per questo l’Italia deve scegliere da che parte stare, altrimenti l’irrilevanza internazionale sarà inevitabile. Ci vuole coraggio, qualsiasi direzione si deciderà di prendere. Sapendo che in ogni caso ci saranno controindicazioni e problemi che andranno affrontati. Ma con una posizione chiara.

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