
Il raduno degli Alpini tenutosi a Biella nei giorni scorsi è finito al centro di un’ondata di polemiche che vanno ben oltre il folklore e lo spirito di cameratismo che, almeno ufficialmente, dovrebbero caratterizzare questi eventi. Dopo i cori inneggianti al fascismo e l’esecuzione pubblica di “Faccetta nera”, è emersa una denuncia ancora più grave: una giovane barista ha raccontato di essere stata vittima di violenza sessuale durante le giornate del raduno.
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Il racconto della vittima e l’intervento dei medici
La ragazza, impiegata in un bar del centro cittadino, si è recata in ospedale accompagnata dal suo datore di lavoro. Qui ha riferito di essere stata abusata da un uomo incontrato durante le celebrazioni. Secondo quanto raccontato ai sanitari, la giovane avrebbe invitato l’uomo a casa sua con l’intenzione di trascorrere del tempo in maniera amichevole, ma la situazione sarebbe degenerata rapidamente.
La barista ha dichiarato di non aver mai dato il consenso a un rapporto sessuale e di essere stata costretta. Una volta rientrata in sé, ha chiesto aiuto al titolare del locale in cui lavora, che l’ha portata al pronto soccorso. I medici, come previsto dai protocolli sanitari, hanno preso nota delle sue dichiarazioni e provveduto a segnalare il caso alla polizia.
Tuttavia, la giovane donna avrebbe preferito non sporgere denuncia, mantenendo riservata l’identità dell’uomo coinvolto. Una scelta che, pur nel rispetto della libertà individuale, rende più difficile per le forze dell’ordine procedere con eventuali accertamenti e azioni legali.
I cori fascisti che hanno preceduto la denuncia
Il grave episodio si inserisce in un contesto già segnato da comportamenti controversi. Durante il raduno, un gruppo di Alpini è stato filmato mentre cantava “Faccetta nera”, una delle canzoni simbolo del fascismo italiano. La scena, ripresa all’esterno di un bar nel centro di Biella, ha suscitato l’indignazione di diversi cittadini, tra cui una donna – probabilmente una dipendente del locale – che ha interrotto il canto chiedendo con fermezza di fermare la musica: “Potete togliere sta roba?”, si sente dire nel video.
Non si è trattato di un caso isolato. Solo pochi giorni prima, durante l’adunata del 10 maggio, un altro gruppo di penne nere era stato sorpreso a intonare lo stesso inno per le strade di via Gramsci, scatenando reazioni indignate da parte di associazioni antifasciste e rappresentanti della società civile.
Un problema che si ripete
Le manifestazioni degli Alpini sono spesso state accompagnate da episodi di sessismo, comportamenti molesti e canti nostalgici del Ventennio, ma raramente i fatti hanno avuto conseguenze legali o disciplinari. La denuncia non formalizzata della barista, unita alla difficoltà di identificare l’uomo coinvolto, rischia di trasformarsi in un’altra occasione mancata per affrontare il problema alla radice.
L’edizione biellese del raduno, la 96esima adunata nazionale, lascia dunque dietro di sé un’ombra pesante. Non solo per la memoria storica offesa da cori fascisti in contesti pubblici, ma anche per una vicenda personale che, pur nella sua tragicità, potrebbe restare senza giustizia.
Una riflessione necessaria
Quanto accaduto a Biella solleva interrogativi non solo sull’organizzazione e il controllo di eventi di questa portata, ma anche sulla cultura che li circonda. Episodi come questo mostrano quanto sia ancora urgente lavorare per un ambiente rispettoso e sicuro, soprattutto in occasioni in cui l’alcol, l’euforia collettiva e il senso di impunità possono trasformarsi in un pericoloso mix.
Il raduno degli Alpini, nato per celebrare lo spirito di corpo e il valore militare, rischia di perdere ogni dignità se diventa invece occasione per abusi, cori fascisti e molestie. E finché questi episodi verranno minimizzati o lasciati impuniti, sarà difficile restituire credibilità a una tradizione che, almeno sulla carta, dovrebbe unire e non dividere.