
A quasi 18 anni dall’omicidio di Chiara Poggi, il nome delle gemelle Stefania e Paola Cappa — mai indagate — torna a emergere nella nuova fase dell’inchiesta sul delitto di Garlasco. Le due cugine della vittima, note al grande pubblico come le “gemelle K”, vennero esposte alla curiosità dei media sin dalle prime ore successive al ritrovamento del corpo della giovane, diventando oggetto di speculazioni, insinuazioni e, soprattutto, odio social. E tutto per una foto, un semplice fotomontaggio, realizzato senza alcuna malizia, che finì sulle pagine dei giornali.
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Oggi, Stefania Cappa — diventata avvocata esperta in diritto sportivo — rompe il silenzio per raccontare cosa accadde davvero quel giorno e come nacque quella fotografia scattata davanti al cancello della villetta di via Pascoli, che le ha inseguite per anni come un’ombra ingombrante.
La richiesta dei parenti e la scelta della foto
«La mattina dopo l’omicidio, alle sette, davanti a casa nostra c’erano già molti giornalisti», ha raccontato Stefania Cappa in un verbale datato 7 febbraio 2008. I genitori di Chiara, Giuseppe e Rita Poggi, si erano trasferiti momentaneamente nella casa delle gemelle Cappa per via dell’impossibilità di accedere alla propria abitazione, ora sotto sequestro. Ed è proprio in quel contesto, caotico e carico di dolore, che nasce la richiesta di una fotografia da consegnare alla stampa.
«I miei zii ci hanno chiesto, a me e a mia sorella, una foto di Chiara da sola o una di noi tre insieme», ricorda Stefania. Una specifica, però, era stata data in modo chiaro: «Mio zio ha detto espressamente: ‘Niente foto di Chiara e Alberto insieme’». Una richiesta comprensibile, in un momento in cui Alberto Stasi, all’epoca fidanzato della vittima, era già sotto i riflettori delle indagini.
Le uniche foto disponibili ritraevano Chiara in occasioni poco adatte alla diffusione mediatica: vacanze al mare, cerimonie religiose o con altri familiari. Così le due sorelle decisero di unire due scatti distinti: uno con Chiara da sola, l’altro con loro due vestite di rosso. «Lo abbiamo fatto per avere un’immagine rispettosa e adatta a essere mostrata ai giornalisti ancora presenti fuori casa», spiegano.
L’approvazione dei familiari e l’assalto della stampa
Le gemelle non agirono di nascosto. Una volta creato il ricordo fotografico, mostrarono l’immagine agli zii. «Ricordo che la foto era piaciuta ad entrambe le zie, anche alla mamma di Chiara», afferma Stefania. Fu allora che decisero di portarla davanti alla villetta di via Pascoli, luogo simbolico e ancora blindato dalle indagini in corso.
Arrivate lì, vennero immediatamente riprese e assalite dai giornalisti, che da ore presidiavano la scena del crimine. Le due giovani divennero così volti noti di una vicenda ancora avvolta nel mistero. Una notorietà che, nel tempo, si è trasformata in infamia infondata, benché le due sorelle non siano mai state sospettate né coinvolte nell’inchiesta.

Vittime della spettacolarizzazione del dolore
Quel semplice fotomontaggio, nato in un contesto di dolore familiare e con l’approvazione dei genitori della vittima, è diventato il simbolo involontario di una narrazione mediatica spesso distorta, che ha messo al centro della scena figure estranee ai fatti, senza alcun elemento indiziario a loro carico.
Stefania e Paola Cappa hanno pagato, con anni di esposizione mediatica, l’unica “colpa” di essere cugine della vittima, presenti sul posto e coinvolte emotivamente nella tragedia. La loro immagine, ripetutamente proposta al pubblico come elemento di curiosità o ambiguità, ha alimentato sospetti e speculazioni infondate, rendendole bersaglio di odio online e commenti velenosi, che nulla hanno a che vedere con la giustizia.
Un caso ancora aperto e una verità da rispettare
Il caso Chiara Poggi è ancora al centro di attenzione giudiziaria e mediatica, ma le gemelle Cappa restano, come sempre, completamente estranee ai fatti. La loro vicenda dimostra quanto sia fragile il confine tra racconto giornalistico e spettacolarizzazione del dolore, e quanto facilmente si possano creare mostri mediatici dove non ci sono colpevoli.
La storia di Stefania e Paola invita a riflettere su come vengano trattati i familiari delle vittime e su quanto possa essere pericolosa la decontestualizzazione di un gesto. Oggi, Stefania ha voluto fare chiarezza su un episodio che ha segnato la sua vita e quella della sorella, non per cercare attenzione, ma per restituire dignità a una verità mai raccontata fino in fondo.