
Un pomeriggio d’autunno nella sala riunioni di Moody’s a New York, i fari dei monitor illuminano i volti dei responsabili del credit rating mentre scorrono i numeri del debito pubblico statunitense: troppo elevato, troppi interessi da rimborsare. Quando la riunione termina, l’annuncio è già pronto: il rating dell’affidabilità creditizia del Paese a stelle e strisce scenderà da Aaa ad Aa1, cedendo la massima valutazione che aveva detenuto per oltre un secolo.
Quella decisione, resa nota ieri, non è un mero cambiamento di lettere sul foglio di un’agenzia di rating: racconta la storia di un bilancio che ha superato le proprie soglie di sostenibilità, con un debito federale prossimo al 125% del Pil e costi di interesse che divorano ogni anno una fetta crescente delle risorse pubbliche. Era ormai chiaro che proseguire nello schema attuale — stimolare l’economia con deficit continui e accollarsi nuovi titoli di Stato a tassi in rialzo — avrebbe posto l’intero sistema finanziario sotto pressione.
Nonostante il declassamento, Moody’s ha contemporaneamente corretto l’outlook da negativo a stabile, un segnale paradossale che sfuma l’orizzonte di rischi immediati, ma fissa l’attenzione sulle sfide di medio termine. Gli analisti dell’agenzia spiegano che, se da un lato la politica di bilancio degli Stati Uniti resta incerta — con il Congresso diviso e un tetto del debito che torna a minacciare lo shutdown federale —, dall’altro permangono solide istituzioni, una moneta di riserva mondiale e un’economia ancora leader globale.
I mercati hanno accolto la notizia con un mix di cautela e rassegnazione: il dollaro ha oscillato marginalmente, mentre i rendimenti dei Treasury a 10 anni hanno subito un leggero rialzo. Non è la prima volta che Washington perde un gradino nell’indicatore di affidabilità: nel 2011 Standard & Poor’s tolse l’Aaa, scatenando un’ondata di timori sulla tenuta fiscale dell’America. Ma è forse la prima volta che un declassamento sembra quasi scontato, parte di un copione scritto da anni.
Ora la palla passa ai politici: ridurre il debito richiederà scelte impopolari, tra tagli alla spesa e aumento delle entrate. Ogni ritardo o compromesso potrebbe riportare l’outlook verso orizzonti più cupi. E mentre il mondo osserva gli Stati Uniti fare i conti con i propri conti, resta da vedere se l’America saprà rialzare la testa e riconquistare quel “triplo A” che, fin dalla guerra civile, era diventato il simbolo della sua solidità finanziaria.