
Un confronto acceso, dai toni quasi surreali, ha animato l’ultima puntata di DiMartedì, il talk show politico condotto da Giovanni Floris su La7. Protagonisti del dibattito Alessandro Di Battista, ex esponente di punta del Movimento 5 Stelle, e il giornalista americano Alan Friedman, ormai da anni figura centrale del dibattito pubblico italiano. Al centro dello scontro la figura di Vladimir Putin, la guerra in Ucraina e il ruolo delle potenze mondiali nello scenario geopolitico contemporaneo.
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Un confronto che per i toni e la veemenza degli interventi ha ricordato, a tratti, una grottesca partita di roulette russa, con i due contendenti pronti a sparare le loro verità in un crescendo di accuse, ironie e smentite reciproche.
Di Battista: “Putin è più forte di prima, l’Europa ha fallito”
A rompere il ghiaccio è stato Di Battista, che non ha risparmiato critiche all’attuale governo e alla linea europea nei confronti della Russia: «Meloni deve recitare il suo ruolo e continuare a proclamare un “sostegno incrollabile all’Ucraina”, ma nei fatti cerca di prendere le distanze. Non è andata nemmeno all’incontro dei politici falliti, i cosiddetti volenterosi. Ma neanche lei conta davvero qualcosa. I veri protagonisti oggi sono Putin, Xi Jinping e Trump».
Secondo Di Battista, l’Unione Europea ha perso l’occasione di prevenire il conflitto affidando la mediazione a una figura autorevole come Angela Merkel. Il quadro che delinea è netto: «La Russia è più forte di prima. Ha supporto internazionale, controlla i territori più ricchi dell’Ucraina, gran parte dell’accesso al mare e la più grande centrale nucleare del Paese. Oggi Putin ha il coltello dalla parte del manico. Le sanzioni? Gliene hanno imposte sedici, ora minacciano la diciassettesima. Ma lui se ne infischia».
Una visione che ribalta la narrativa dominante secondo cui le sanzioni internazionali e l’isolamento economico stiano fiaccando la Federazione Russa. Al contrario, per l’ex deputato, l’Occidente ha fallito in politica estera, lasciando campo libero a chi oggi detta le condizioni.

Friedman: “Solo Putin può fermare la guerra. E non vuole la pace”
La replica di Alan Friedman non si è fatta attendere. Il giornalista ha bollato come «polemica ideologica sterile» l’intervento di Di Battista, contestandone la mancanza di concretezza. Per Friedman, il punto centrale resta la volontà di Putin: «Quando Trump ha annunciato che sarebbe stato possibile un incontro a Istanbul, Zelensky ha risposto dopo mezz’ora dicendo “io ci sarò”. Putin, invece, si è tirato indietro. È lui che non vuole la pace».
Friedman ha lanciato un messaggio diretto: «Solo Putin può fermare questa guerra, mettitelo in testa. E non lo fa. Perché non è interessato alla pace, non è serio». Un’accusa che punta dritta al cuore del dibattito internazionale: il ruolo chiave del presidente russo e la sua reale disponibilità a una soluzione diplomatica.
“Chapeau a Putin”: il sarcasmo amaro di Di Battista
Il tono si è ulteriormente inasprito quando Di Battista ha risposto con un attacco sarcastico all’informazione occidentale: «In tre anni avete detto di tutto: che Putin ha tremila malattie, che lo stanno per defenestrare, che l’economia russa è in ginocchio, che combattono con le pale e smontano i frigoriferi per recuperare i semiconduttori… Ora tutto è in mano a Putin. Chapeau. E poi parlate di demagogia? Avete fallito».
Una chiusura tagliente, che fotografa bene il clima dello scontro. Due visioni opposte non solo sulla guerra in Ucraina, ma sul modo stesso di interpretare i fatti, il ruolo dell’informazione e la credibilità delle istituzioni occidentali.
Uno scontro che riflette le spaccature dell’opinione pubblica
Il faccia a faccia tra Di Battista e Friedman non è stato solo un duello televisivo, ma lo specchio di una divisione profonda nell’opinione pubblica. Da un lato chi legge la crisi in Ucraina come il risultato di un fallimento della diplomazia europea, dall’altro chi denuncia l’aggressione russa come atto di forza da parte di un regime che rifiuta ogni compromesso.
Il talk show si è chiuso senza una sintesi, con entrambi i contendenti trincerati nelle rispettive posizioni. Ma il messaggio che ne esce è chiaro: sulla guerra, sull’influenza di Putin, e sulla credibilità dell’Europa, il confronto è tutt’altro che chiuso.